Come noto, in caso di società in nome collettivo, ai sensi dell’art. 2291 c.c. tutti i soci rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali; l’eventuale patto contrario, peraltro, non ha effetto nei confronti dei terzi. La norma citata ha la finalità di agevolare l’operatività della società, permettendo ai terzi che si trovino a intrattenere rapporti con essa di fare affidamento sul patrimonio personale dei soci e non solo su quello dell'ente, di consistenza difficile da valutare.
Inoltre, grazie alla disposizione citata i terzi possono rimanere indifferenti ai rapporti interni tra i soci e alla misura in cui i debiti della società devono essere ripartiti tra questi, potendo contare sull’intero patrimonio di ciascun socio per la soddisfazione dei propri crediti; una volta soddisfatto il credito del terzo, sono i soci a doversi ripartire internamente il debito, in proporzione della propria quota di partecipazione alla società in nome collettivo.
Ciò premesso, la Corte è stata chiamata ad esaminare un caso particolare e piuttosto inusuale: un soggetto, socio con un'altra persona di una società in nome collettivo che aveva preso in locazione un immobile di proprietà di entrambi i soci, agiva nei confronti della società e dell’altro socio illimitatamente responsabile – ai sensi dell’art. 2291 c.c. – per ottenere il pagamento della parte di sua spettanza dei canoni di locazione non corrisposti dalla società. Il creditore otteneva perciò un decreto ingiuntivo, che veniva confermato in primo ed in secondo grado; l’altro socio, ossia quello aggredito come socio illimitatamente responsabile (ma anche comproprietario dell’immobile) ricorreva perciò per cassazione.
La Cassazione, investita della questione, ha innanzitutto rilevato che nei rapporti tra i soci di una società in nome collettivo deve escludersi l'applicazione del principio della responsabilità solidale illimitata di ciascuno di essi per le obbligazioni sociali di cui all'art. 2291 c.c., principio dettato esclusivamente a tutela dei terzi estranei alla società e quindi operante solo nei riguardi di questi. Tale regola deriva dalla struttura stessa delle società di persone, cui l'ordinamento riconosce mera soggettività, ma non personalità giuridica perfetta, cioè una autonomia patrimoniale limitata: essa è sancita da regole che hanno lo scopo di garantire la tutela degli interessi dei terzi che hanno contrattato con la società, che però – al contrario - non possono trovare applicazione nei rapporti tra i soci stessi.
Da quanto esposto si può desumere che nei rapporti tra soci - non sussistendo nessuna delle esigenze di tutela dei terzi sopra esposte - non opera il principio di illimitata responsabilità per le obbligazioni della società: nei rapporti tra i soci, come nel caso in esame, si deve esclusivamente tenere conto dei reciproci obblighi di contribuzione per i debiti contratti dalla società che sono proporzionali alla quota di partecipazione di ciascun socio alla società stessa.
Nel caso in cui un socio eserciti un'azione nei confronti della società e pretenda di estenderla anche ad un altro socio illimitatamente responsabile, perciò, quest'ultimo risponde dunque nei suoi confronti non illimitatamente, come avverrebbe qualora agisse un terzo estraneo alla società, ma solo nei limiti dei reciproci obblighi di contribuzione per gli oneri sociali.
La Corte ha, perciò, accolto il ricorso e cassato senza rinvio la decisione della corte d’appello, revocando il decreto ingiuntivo.
Avv. Mattia Tacchini
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