Il Rapporto, divenuto oramai punto di riferimento per l'analisi delle dinamiche socio-economiche che interessano le terre alte, ha centrato la sua attenzione sul carattere plurale delle montagne, mettendone in rilievo le diversità nel quadro di una lettura di insieme. Un approccio che rifiuta la dicotomia marginalità-eroismo in cui si intende collocare tradizionalmente la visione della montagna, per affermarne la centralità nell'orizzonte di un Paese che vuole uscire dalla crisi ridisegnando in termini sostenibili il proprio modello di sviluppo. La dotazione di capitale naturale, infatti, e i conseguenti servizi ecositemici sono una ricchezza per l'Italia e fattori nevralgici per lo sviluppo delle arre montane.
Pertanto, molte le novità di questa Terza edizione, che rappresentano una montagna in crescita, sia dal punto di vista del Pil sia per quanto riguarda le opportunità di sviluppo che i recenti provvedimenti legislativi riservano alle comunità e ai territori.
Il ritorno al settore primario da parte di un numero consistente di giovani, con il conseguente avvio di una varietà di produzioni piccole e medie, la presenza sempre maggiore di migranti che inverte il trend negativo dello spopolamento, il segmento dell'offerta turistica in aumento, stanno cambiando il volto della montagna italiana. La collocazione montana rappresenta addirittura un elemento di vantaggio per le imprese del nord, come hanno dichiarato il 38% delle imprese localizzate nei comuni dell'Arco alpino e il 34,9% tra quelle dell'Appennino settentrionale.
Tra i punti di forza, la fidelizzazione della clientela e la reputazione del territorio. Due elementi indicati come fattori di vantaggio in particolare dalle imprese dell'Arco alpino (67,7%) e da quelle dell'Appennino settentrionale (54%). Altro dato da rilevare è il tasso di occupazione femminile superiore alle medie nazionali e largamente diffuso nell'arco alpino. A fronte di una media nazionale di occupazione femminile del 41,8% nell'arco alpino si registra una percentuale del 45,6%.
Comuni montani in prima linea anche per la decarbonizzazione dell'economia. Sono oggi 1.588 quelli alpini e appenninici che hanno aderito al Patto dei Sindaci (che impegna i comuni europei a realizzare Piani di Azione per l'Energia Sostenibile - PAES). Quanto alla produzione di energia da fonti idroelettriche, il 20,5% dei comuni montani ha attivato azioni in questo settore. Piemonte e Lombardia, rispettivamente con 546 MW e 532 MW, sono le regioni che forniscono al Paese il maggior contributo energetico di fonte idroelettrica. Per le altre fonti rinnovabili - eolico, bio-energie e geotermico - il rapporto Alpi-Appennini si capovolge, con una netta prevalenza di questi ultimi con 1.790 MW di potenza istallata contro i 170 MW delle Alpi. In particolare, sono le regioni meridionali a primeggiare. In Puglia e Basilicata gli impianti di questa natura sono presenti nella metà dei comuni montani. Al centro nord percentuali rilevanti si registrano anche nelle regioni appenniniche dell'Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Marche.
Territori montani virtuosi anche nella gestione dei rifiuti. A fronte dei 486,7 kg pro capite di rifiuti differenziati prodotti annualmente dalla media italiana, le montagne alpine registrano una produzione media di 464,9 kg e l'Appennino addirittura 428,4 kg. Rispetto ad una media nazionale di 255,8 kg pro capite annuo di rifiuti indifferenziati, le aree alpine scendono ad un livello di 193,0 Kg e gli Appennini a 248,2 kg. La palma del migliore spetta alla regione Campania dove sotto la soglia di 200 kg si colloca ben il 92,4% dei comuni montani. Più in generale, il 41,2% delle imprese di questi territori ha incrementato la raccolta differenziata, il 31,2% ha riciclato i materiali, il 22% è ricorso alle energie rinnovabili, il 20,8% ha ridotto le emissioni di CO2, il 16,4% ha realizzato acquisti verdi e il 12% ha avviato azioni di prevenzione del rischio idrogeologico.
Secondo le rilevazioni del Rapporto, inoltre, una spinta importante all'economia della montagna potrebbe arrivare dal pagamento dei servizi ecosistemici. La stima porta a quantificare il valore di questo settore (vale a dire la remunerazione dei beni comuni presenti sul territorio) in circa 90 miliardi di euro l'anno, i due terzi dei quali prodotti in area montana. Un'opportunità importante, questa, da certificare e garantire attraverso un'azione consapevole e responsabile delle comunità locali.
Ogni sezione del Rapporto è infine completata dalle “Voci della montagna”, in cui i sindaci montani danno direttamente testimonianza delle trasformazioni in atto. I primi cittadini intervistati, un campione di circa 500, esprimono forte attenzione ai servizi scolastici, settore che ha goduto del maggiore aumento degli investimenti (20% secondo le rilevazioni), costituendo la principale linea di intervento nei comuni montani dell'Appennino centrale e in quelli dell'Appennino meridionale (26,9% in entrambi i casi).
Altro settore “attenzionato” dai sindaci è il sociale e gli aiuti alle famiglie, che hanno rappresentato una priorità di azione per i sindaci dell'Arco alpino e dell'Appennino settentrionale (19,2% e 13% rispettivamente la quota dei sindaci che hanno potuto destinare maggiori risorse a queste aree). Voci che parlano alla politica e alle istituzioni e per questo un capitolo è stato dedicato ad un esame critico e costruttivo delle principali politiche e strategie che hanno interessato le aree montane negli ultimi anni.