Il caso esaminato dalla Cassazione è il seguente: le figlie di un anziano, con il quale avevano interrotto ogni rapporto vent’anni prima, ricorrevano al tribunale competente affinché pronunciasse l’inabilitazione del padre che, negli anni, avevano compiuto elargizioni a favore di alcuni soggetti: su tutti l’altro figlio, al quale aveva acquistato e successivamente ristrutturato un appartamento, e una coppia di amici, ai quali aveva corrisposto la somma di € 120.000,00 a titolo di corrispettivo per l'occupazione - vita natural durante - di una parte del loro immobile.
Il tribunale accoglieva la richiesta delle figlie, nominando all’anziano un curatore provvisorio; in appello, invece, la decisione veniva ribaltata revocando la pronuncia di inabilitazione e la nomina del curatore. Le figlie, perciò, ricorrevano per cassazione.
Per meglio comprendere il tema trattato è necessario, peraltro, premettere alcuni brevi cenni in merito all’inabilitazione: essa è un istituto giuridico teso a tutelare determinate categorie di soggetti che non risultano in grado di comprendere il valore e il significato degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione: ad essi viene garantita l’assistenza di un curatore nominato dal Tribunale, il quale integra la volontà del soggetto per il compimento degli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione. Tra i soggetti che possono essere sottoposti alla citata misura di protezione vi sono quelli indicati dall’art. 415 co. II c.c., ossia coloro che per prodigalità o per abuso abituale di bevande alcoliche o di stupefacenti, espongono sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici. Nel caso in esame le figlie dell’anziano avevano incardinato la procedura fondando la propria richiesta proprio sulla norma citata.
La Suprema Corte ha preso le mosse dal rilievo che la prodigalità, ossia un comportamento abituale caratterizzato da larghezza nello spendere, nel regalare o nel rischiare, eccessivo rispetto alle proprie condizioni socio-economiche ed al valore oggettivamente attribuibile al denaro, configura autonoma causa di inabilitazione indipendentemente da una sua derivazione da specifica malattia o infermità, e, quindi, anche quando si traduca in atteggiamenti lucidi, espressione di libera scelta di vita: ciò però a condizione che sia ricollegabile a motivi futili.
La Cassazione ha proseguito affermando che condotte del tipo di quelle tenute dall’anziano, al contrario, non possono costituire ragione d'inabilitazione del loro autore quando rispondano a finalità aventi un proprio intrinseco valore come, nel caso di specie, l’aiuto economico favore di persone estranee al nucleo familiare, ma legate all’interessato da affetto.
La Corte ha altresì sostenuto che a seguito dell’interruzione dei rapporti con le figlie la redistribuzione, da parte dell’anziano, della propria ricchezza a persone a lui vicine è stata una risposta positiva e costruttiva al naufragio della propria famiglia (salvo che per il rapporto con l’altro figlio): le elargizioni operate avevano seguito, infatti, una logica premiale e riconoscitiva, ben lungi dal rientrare nel concetto di futili motivi.
La Cassazione ha perciò confermato la pronuncia della corte d’appello, rigettando il ricorso delle figlie dell’anziano.
Avv. Mattia Tacchini
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