Per comprendere appieno la questione trattata dal Tribunale di Milano, è necessario esaminare brevemente le norme rilevanti per il caso in oggetto. In primo luogo, nell’ordinamento italiano vige il principio generale in forza del quale chi intende convenire in giudizio un soggetto deve farlo avanti al giudice del luogo ove quest’ultimo risiede o ha il domicilio (se persona fisica – art. 18 c.p.c.) oppure ha la propria sede (per le persone giuridiche, le società non aventi personalità giuridica e le associazioni non riconosciute – art. 19 c.p.c.).
Per le cause relative a diritti di obbligazione è anche competente il giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l'obbligazione dedotta in giudizio, ai sensi dell’art. 20 c.p.c.; come conseguenza di ciò, in caso – ad esempio – di causa avente ad oggetto i diritti scaturenti da un contratto, l’azione potrà essere esercitata anche avanti al giudice del luogo ove, ad esempio, il contratto è stato firmato.
Nel caso di contratti stipulati tra soggetti professionali e consumatori, invece, il foro competente è inderogabilmente individuato dagli artt. 33 co. I lett. u) e 36 del c.d. codice del consumo (D.Lgs. n. 206/2005), i quali prevedono la competenza esclusiva ed inderogabile (salvo che una clausola derogativa di tale previsione sia stata appositamente e specificamente negoziata) del Tribunale del luogo di residenza o domicilio del consumatore.
Si ricorda che la questione della individuazione del giudice competente non è di poco conto: nel caso in cui chi agisce in giudizio individui un giudice non competente per territorio, l’esito di tale giudizio sarà una pronuncia di incompetenza con l’obbligo di riassumere la causa avanti all’autorità giudiziaria competente e condanna dell’attore alla rifusione delle spese di lite.
Il caso sottoposto all’esame del Tribunale di Milano è sostanzialmente il seguente: un’azienda, dopo aver stipulato un contratto con un condominio che successivamente si rendeva inadempiente circa il pagamento di quanto pattuito, agiva ai sensi dell’art. 20 c.p.c. per ottenere l’emissione di un decreto ingiuntivo per una somma ragguardevole nei confronti del condominio. L’azienda, perciò, non incardinava l’azione avanti al giudice del luogo ove era situato il condominio, bensì avanti al tribunale del luogo ove l’obbligazione era sorta oppure doveva essere eseguita.
Il condominio, opponendosi al decreto ingiuntivo, eccepiva l’incompetenza territoriale del giudice adito dall’impresa, in quanto sarebbe invece stato competente quello del luogo ove è sito il condominio. Il Tribunale di Milano, investito della questione, ha puntualmente rilevato – rimanendo nel solco della giurisprudenza della Suprema Corte – che il condominio, poiché agisce per scopi estranei ad un’attività commerciale, deve essere considerato un consumatore, essendo del tutto irrilevante che il contratto sia concluso dall'amministratore.
L’orientamento pacifico della Cassazione, infatti, rileva che al contratto concluso con un professionista dall'amministratore di un condominio (che è un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei suoi partecipanti) si applicano, in presenza degli altri elementi previsti dalla legge, le norme dettate dal codice del consumo, atteso che l'amministratore agisce quale mandatario con rappresentanza dei vari condomini, i quali devono essere considerati consumatori, in quanto persone fisiche operanti per scopi estranei ad attività imprenditoriale o professionale. A ciò consegue che quando un’azienda intende convenire in giudizio un condominio dovrà individuare quale unico giudice competente quello del luogo ove il condominio è sito, ai sensi degli artt. 33 co. I lett. u) e 36 del codice del consumo; tale regola potrà essere derogata solo con un’espressa ed apposita pattuizione, negoziata tra le parti e non frutto di mera imposizione dell’azienda al condominio stesso.
Avv. Mattia Tacchini
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