Il caso sottoposto alla Suprema Corte è piuttosto semplice: le parti di una compravendita immobiliare concordavano che il corrispettivo della cessione di un immobile commerciale sarebbe stato versato dalla società acquirente mediante consegna di un certificato di investimento e prelievo automatico di 200 milioni di Lire con scadenza successiva alla data della compravendita. Più nel dettaglio, la cessione dell’immobile si perfezionava nel dicembre 1981, mentre il termine per il prelievo automatico della somma recata dal certificato di investimento, che avrebbe dovuto essere stata in precedenza versata dalla venditrice alla società che aveva emesso il certificato stesso, che poi avrebbe versato la somma ai venditori dell’immobile, scadeva nel settembre 1984: purtroppo alla scadenza la società emittente non provvedeva al pagamento.
I venditori agivano perciò in giudizio per sentire pronunciare l’annullamento della compravendita immobiliare, e in particolare della quietanza nella quale dichiaravano di aver già ricevuto il pagamento al momento della stipulazione della cessione, per dolo dell’acquirente. All’atto della costituzione in giudizio, peraltro, la società che aveva emesso il certificato (e tenuta al pagamento) risultava in liquidazione coatta amministrativa, al pari della società venditrice. In particolare, parte venditrice oltre a chiedere l’annullamento del contratto, domandava altresì di provare mediante testimonianze e presunzioni che il pagamento non era stato effettivamente eseguito dalla parte acquirente; tra le argomentazioni di parte attrice vi era il rilievo che il certificato consegnato alla parte acquirente recava l’identico importo previsto quale corrispettivo della cessione dell’immobile e presentava una data pressoché concomitante con quest’ultima: queste circostanze ragionevolmente dimostravano che il trasferimento dell'immobile non era stato accompagnato dal versamento del corrispettivo, ma dalla mera assunzione di un debito, attraverso la consegna del documento attestante il transito della somma in un programma di investimento.
In materia è necessario sottolineare che l’art. 2700 c.c. sancisce che l’atto pubblico (ossia, ad esempio, il rogito di compravendita immobiliare rogato da notaio) fa piena prova sino a querela di falso della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essersi verificati in sua presenza; l’art. 2727 c.c., invece, salvo casi eccezionali preclude la prova del pagamento mediante testimoni, mentre l’art. 2729 c.c. sancisce il divieto di prova mediante presunzioni nei casi in cui sia preclusa la prova per testimoni; l’art. 2722 c.c., infine, sancisce la inammissibilità della prova per testimoni di patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento contemporaneo ad essi oppure anteriore.
Sia in primo che in secondo grado i giudici accoglievano le domande della parte attrice. La società acquirente dell’immobile e quella che avevano emesso il certificato ricorrevano perciò per cassazione, ritenendo che le decisioni di merito violassero: l’art. 2700, in quanto per rimuovere l'efficacia probatoria della dichiarazione di quietanza rilasciata in contratto sarebbe stata necessaria la querela di falso; l’art. 2729, in quanto la prova del mancato pagamento dell’immobile non avrebbe potuto essere fornita mediante presunzioni; l’art. 2722 c.c., in quanto la prova mediante testimoni era tesa a provare un patto contrario ad un documento scritto.
La Suprema Corte, con riferimento alla presunta violazione degli artt. 2700, 2727 e 2729 c.c., ha sottolineato che i giudici d’appello avevano negato la veridicità non del documento contrattuale, ma della dichiarazione di parte in esso documentata; quest’ultima, però, non è assistita da fede privilegiata, considerato che l'efficacia probatoria privilegiata dell'atto pubblico è limitata ai fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza, senza implicare l'intrinseca veridicità del contenuto di queste ultime o la loro rispondenza all'effettiva intenzione delle parti. Inoltre, relativamente alla asserita violazione dell’art. 2722 c.c. la Corte ha puntualizzato che il mancato pagamento del prezzo della compravendita immobiliare veniva in considerazione non come inadempimento contrattuale, ma come mero fatto storico: ad esso, perciò, non si poteva applicare l’art. 2722 c.c.. Con le argomentazioni sopra delineate, la Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando le decisioni dei giudici di merito.
Avv. Mattia Tacchini
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