LA LETTERATURA DELL’ESODO
“Gli itinerari istriani” di Pietro Parentin
Sarà che ‘l mio Paese vero
no xe sto qua.
(Anna Maria Muiesan di Pirano)
I toponimi che accompagnano questo libro del Direttore de “La nuova voce giuliana”, edito dall’Associazione delle Comunità Istriane di Trieste, sono espressi in italiano.
Essi e il fatto che le cartine sono pubblicate senza i tre confini nazionali costituiscono una suggestiva rivisitazione storica.
Le cartine che corredano gli itinerari sono, proprio per questo motivo, di difficoltosa utilizzazione, essendo ora, sul territorio, tutte le località indicate in sloveno o croato.
Cambiare i toponimi è disconoscere la storia ma lo scopo, con l’esodo, era proprio quello di incidere nel passato dei luoghi che si voleva avessero avuto una storia diversa.
Solo là dove le comunità esprimono ancora presenze della minoranza nazionale italiana, i toponimi riportano anche la dizione nella nostra lingua.
Questa terra appare, dunque, come sdoppiata: lascia, tuttavia, intravedere una tavolozza di situazioni ancora ben riconoscibili.
Le informazioni storiche del libro sono ricavate soprattutto dagli archivi parrocchiali e i luoghi di devozione costituiscono ancora un punto di riferimento per le popolazioni, siano esse slave o italiane.
Pur marcate dall’esodo riemergono vestigia risalenti al Patriarcato di Aquileia, lo Stato ecclesiastico che ha segnato per secoli le vicende della storia istriana.
Il territorio rivela tuttora l’lstria veneta e quella asburgica, nelle architetture degli edifici e nel tracciato delle strade, tagliate troppo spesso dai confini delle due attuali repubbliche slave. Essi costringono, così, il visitatore a deviazioni impreviste.
Abbiamo ritrovato a Buie, paese natale di una profuga sposata Lenzi a Verbania, le tracce di un territorio prettamente italiano non solo nel suo centro maggiore.
L’acquedotto istriano, risalente ai tempi dell’Italia e la ferrovia parenzana, reperto logistico della curiosità di Nino Chiovini dovuto ai suoi soggiorni estivi degli anni ’80 a Parenzo, da cui partiva per frequentare a Rovigno il Centro culturale italiano, ora sede della Comunità degli italiani.
Rientriamo lasciando alle nostre spalle il grande faro di Salvore, che segna l’estremo limite occidentale dell’Istria, doppiato il quale, nei giorni dell’esodo, il Tuscania trasportava a Trieste le genti profughe da Pola.