Il caso sottoposto alla Suprema Corte era il seguente: una donna, per oltre sei anni – dal gennaio 1992 al dicembre 1998 – aveva svolto un’attività lavorativa a favore dell’uomo con il quale, nel medesimo lasso di tempo, aveva intrattenuto una relazione affettiva: più nel dettaglio, la donna svolgeva l’attività lavorativa di impiegata addetta all’attività amministrativa dell’ingente patrimonio immobiliare dell’uomo e della madre dello stesso. Una volta terminata la relazione sentimentale, la donna agiva in giudizio per tutelare la propria posizione e ottenere il pagamento di quanto riteneva di avere diritto a percepire a titolo di retribuzione e degli altri emolumenti previsti dalla legge.
Tanto in primo grado quanto in appello, la donna aveva visto rigettare le proprie pretese, in quanto i Giudici ritenevano che la stessa avesse svolto la propria attività lavorativa “affectionis vel benevolentiae causa”, ossia per ragioni di solidarietà derivate dalla partecipazione della lavoratrice - seppur in modo indiretto - ai vantaggi connessi alla maggior consistenza del patrimonio del partner e dal conseguente aumento patrimoniale o comunque delle condizioni di vita derivato dalla condivisione di vita con l’uomo.
La donna ricorreva per cassazione ritenendo che i giudici di merito avessero operato un’inversione della presunzione di onerosità della prestazione lavorativa subordinata senza un adeguato supporto probatorio, ritenendo integrata la prova della gratuità della prestazione lavorativa svolta e rigettando – di conseguenza – le sue domande.
Sul punto la Suprema Corte, ribaltando il giudizio dei Giudici di merito, ha affermato che la prestazione di un'attività lavorativa di lavoro subordinato per oltre sei anni tra due parti legate da una relazione sentimentale si presume effettuata a titolo oneroso; essa, però, può essere ricondotta ad un rapporto diverso, istituito affectionis vel benevolentiae causa - e quindi caratterizzato dalla gratuità della prestazione - qualora risulti dimostrata la sussistenza della finalità di solidarietà in luogo di quella lucrativa. Tale circostanza sarebbe desumibile dalla esistenza di una comunanza di vita e di interessi tra i conviventi, che non si esaurisca in un rapporto meramente affettivo o sessuale, ma dia luogo anche alla partecipazione del convivente alla vita e alle risorse della famiglia di fatto in modo che l'esistenza del vincolo di solidarietà porti ad escludere la configurabilità di un rapporto a titolo oneroso.
Avv. Mattia Tacchini