Mai nessuno, nella pallacanestro italiana, come la Paffoni: dopo Jesi 2018 e Castellanza 2012, a Porto San Giorgio i rossoverdi hanno calato il tris. Un successo netto nella finalissima contro Cesena, a suggello di una tre giorni in crescendo rossiniano.
Prima il debutto complicato e sofferto con Pescara, la paura e la gioia, con Arrigoni che nel momento del bisogno si traveste da capitano coraggioso e dà la svolta emotiva ai compagni ed anche a se stesso, riscoprendosi uomo e campione e raggiungendo picchi di rendimento mai toccati in carriera. Quindi la grande prova contro Firenze, con un Balanzoni da stropicciarsi gli occhi ed i viola al tappeto.
Poi l'apoteosi, il suggello, il punto esclamativo nella finale con i Tigers, il coronamento di un percorso di crescita oggettivo e forse imprevisto, con il collettivo sugli scudi, con Grande mvp del match e della manifestazione, con un acceccante Scali miglior under della competizione e premiato con la targa in ricordo di Matteo Bertolazzi. La Paffoni si gode dunque un momento particolare, unico, inseguito ma non pronosticato.
Perchè la Fulgor arrivava nelle Marche si' da detentrice del trofeo, ma con qualche dubbio legato alle sconfitte dell'ultimo mese che avevamo minato antiche certezze. Invece questo è un gruppo con le palle, come ha detto il capitano nelle interviste post partita, un gruppo granitico, che sa quello che vuole. La Coppa Italia è un traguardo che dà lustro ad una società che da anni è ai vertici di questo campionato, una società che con pazienza e lungimiranza mantiene un livello di competitività impensabile per una realtà piccola come Omegna.
Giusta la festa, con il presidente portato in trionfo, con il centinaio di tifosi rossoverdi al PalaSavelli, a dispetto di quasi 600 km di distanza, ad inneggiare al proprio condottiero Marcello Ghizzinardi ed a fare festa insieme ai giocatori. Ora viene il bello, ma questa Fulgor non ha paura e sa che nella lunga volata promozione avrà tante carte da giocare...