Il caso sottoposto all’esame dalla Cassazione è il seguente: un istituto di credito licenziava per giusta causa un proprio dipendente a seguito del patteggiamento, da parte di quest’ultimo, ad una condanna a tre anni di reclusione e alla multa di € 12.000,00 per spaccio di stupefacenti: più nel dettaglio, il lavoratore al momento dell’arresto – fuori dall’orario lavorativo - era stato trovato in possesso di rilevante quantità di marijuana a fini di spaccio (pari a 1.340,81 g., dai quali sarebbero state ricavabili n. 3.212 dosi medie), nonché di una bilancia recante ancora residui dello stupefacente e di un importo di € 23.100,00 in contanti.
L’azienda, perciò, ritenendo che la condotta – pur se extralavorativa – del dipendente (peraltro addetto allo sportello) fosse idonea a incarnare la giusta causa per irreparabile lesione del rapporto fiduciario con il lavoratore, procedeva al suo licenziamento; il dipendente impugnava la sanzione e, sia in primo che il secondo grado, la sua domanda giudiziale veniva accolta. La corte d’appello, più nel dettaglio, riteneva che la banca datrice non avesse adempiuto l'onere, indubbiamente a suo carico, di allegazione e dimostrazione delle ricadute del fatto illecito sul rapporto di lavoro, che avrebbero dovuto essere idonee a minarne le fondamenta, impattando sulla aspettativa dell’istituto bancario circa l'esatto adempimento dell'obbligazione lavorativa da parte del dipendente. La banca, perciò, ricorreva per cassazione.
La Suprema Corte ha rilevato innanzitutto che l’istituto di credito aveva specificamente illustrato la condotta del lavoratore nei propri atti e, quindi, aveva soddisfatto pienamente il proprio onere di allegazione dell’incidenza irrimediabilmente lesiva di tali fatti sul rapporto di fiducia lavorativo: gli addebiti al lavoratore denotavano infatti un collegamento non occasionale con ambienti malavitosi in grado di consegnare quantità ingenti di stupefacente ed erano tali da connotare la figura morale del dipendente, considerato altresì che esso era inserito in un ufficio a contatto con utenti, per giunta di servizi bancari.
La datrice di lavoro aveva poi richiamato nei propri scritti difensivi specificamente la ricaduta negativa del fatto illecito sulla professionalità e affidabilità del dipendente, specie in considerazione della particolare natura del settore (creditizio) e delle mansioni affidate al lavoratore (operatore di sportello a contatto col pubblico, in un'attività che richiede la massima affidabilità di tutti i dipendenti, anche per escludere ogni ipotesi di vicinanza con la malavita oppure con chi è abituato a delinquere).
Sulla base di quanto sopra la Cassazione ha riformato la sentenza di secondo grado dichiarando la legittimità del licenziamento e dell’operato dell’istituto di credito.
Avv. Mattia Tacchini
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