La carne di selvaggina cacciata (cervo, capriolo, camoscio e cinghiale) viene comunemente proposta sulle tavole dei ristoranti di tutta Italia. I piatti tipici sono lo spezzatino, il brasato e i ragù da unire a tagli di pasta che variano da zona a zona del Paese. È di certo la tradizione a sostenere queste preparazioni, ma anche la convinzione che la selvaggina abbia un sapore così forte e deciso che una cottura lunga e l’aggiunta di spezie e salse siano necessari per renderla piacevole al palato. Dal punto di vista delle scienze alimentari, però, non c’è nessuno motivo per ritenere che queste carni abbiano un gusto molto diverso da quelle di bovini, caprini o suini.
Il problema, semmai, risiede nelle modalità di prelievo e di trasporto dal loro ambiente. Le tecniche di caccia più cruente, che stressano e spaventano l’animale, unitamente ad una cattiva gestione della carcassa, possono alterare il corretto processo di frollatura.
Nasce da qui il gusto di “selvatico” che rientra nel pensiero comune, che nulla però ha a che vedere con la natura di questi animali.
Al contrario, se un capo selvatico viene abbattuto in maniera etica, senza che l’animale si spaventi né soffra, le carni ottenute avranno qualità sensoriali ottime, a cui si aggiungono caratteristiche nutrizionali e di provenienza che sembrano incontrare perfettamente le richieste del consumatore moderno.
Il Progetto "Processi di Filiera eco-alimentare: la gestione di prodotto sostenibile per lo sviluppo dei territori alpini“ si proponeva appunto di verificare che questo fosse possibile e realizzabile, a partire dal nostro territorio come campione, effettuando sia alcuni interventi concreti sia importanti ricerche, prime per livello di approfondimento in Italia (e forse nel mondo), coordinate dall’Associazione ArsUniVCO in qualità di capofila e grazie ai ricercatori del Dipartimento VESPA dell’Università di Milano, partner di Progetto con il Dipartimento DISAA e con l’Unione Montana Alta Ossola.
Mercoledì 30 gennaio alle ore 14.30 presso il Collegio Mellerio Rosmini di Domodossola si terrà la conferenza pubblica, aperta agli organi di stampa ed a tutti i potenziali interessati, a chiusura di questo progetto, che ha preso avvio ad inizio aprile 2017 e che si è sviluppato in una logica di sostenibilità ed etica venatoria, declinato questa volta negli atti preparatori per la possibile costituzione di un vero e proprio consorzio di filiera locale, il primo in Italia per le carni di selvaggina, e nello studio per la definizione del disciplinare relativo al marchio di qualità certificato legato al territorio di appartenenza, solo parzialmente sviluppato nella scorsa edizione.
L'incontro di mercoledì, quindi, a chiusura del progetto, sarà l'occasione per condividere gli importanti risultati di ricerca e di azioni sul campo di questi 22 mesi di lavoro sul territorio insieme ai Comprensori Alpini di Caccia, ai ristoratori, ai macellai e alle varie categorie produttive coinvolte; verranno infatti illustrati ricerche, dati, attività ed indicazioni sul processo di filiera dal punto di vista tecnico, igienico-sanitario ed economico alla presenza di rappresentanti di Fondazione Cariplo, dei finanziatori Comprensori Alpini di Caccia VCO2 Ossola Nord e VCO3 Ossola Sud e delle principali istituzioni e stakeholder coinvolti.
Di queste tematiche sarà importante discutere in chiusura di conferenza con i rappresentanti delle istituzioni presenti, delle Associazioni di categoria e dei soggetti a vario titolo coinvolti.
La partecipazione alla conferenza è libera e gratuita.
Si allega il programma con il dettaglio degli interventi e la locandina
Per ulteriori informazioni potete visitare il sito web www.ecoalimentare.it.