Il caso sottoposto all’esame della Suprema Corte è il seguente: un mediatore immobiliare metteva in contatto la società proprietaria di un immobile ed un soggetto interessato al suo acquisto, che stipulavano un contratto preliminare di vendita; in occasione della sottoscrizione del preliminare il promissario acquirente corrispondeva al mediatore la metà della provvigione pattuita. La residua metà della provvigione avrebbe dovuto essere versata al momento della stipulazione del contratto definitivo di compravendita, alla quale le parti non giungevano – risolvendo il contratto preliminare – in quanto emergeva che l'immobile non era provvisto di certificato di abitabilità, al contrario di quanto dichiarato dalla parte venditrice.
Il mediatore immobiliare, a fronte del rifiuto del promissario acquirente di corrispondere la seconda metà della provvigione, agiva in giudizio, convenendolo avanti alla competente autorità giudiziaria; il convenuto si costituiva domandando, oltre al rigetto della domanda giudiziale del mediatore immobiliare, la sua condanna alla restituzione della metà della provvigione già percepita e al risarcimento del danno. Il promissario acquirente riteneva che la provvigione suddetta non fosse dovuta in quanto non era stato poi stipulato un contratto definitivo; inoltre, affermava che il mediatore si era reso inadempiente rispetto all'obbligo di corretta informazione cui all'art. 1759 c.c., in quanto non aveva verificato la effettiva presenza del certificato di abitabilità.
Il Tribunale accoglieva la domanda del mediatore immobiliare, condannando il convenuto al pagamento della residua somma dovuta a titolo di compenso provvigionale, decisione confermata anche in sede di appello. Il promissario acquirente ricorreva perciò per cassazione.
La Suprema Corte ha preso le mosse dal rilievo secondo il quale il diritto del mediatore alla provvigione deriva dal risultato utile dell'opera da esso prestata, ossia la conclusione dell'affare tra le parti a seguito della stipulazione del contratto preliminare, indipendentemente dal fatto che successivamente le parti abbiano o meno stipulato un contratto definitivo.
La Cassazione – rimanendo nel solco del proprio orientamento - ha proseguito osservando che la responsabilità del mediatore professionale, il quale è chiamato a mettere in contatto le parti al fine di permettere loro di giungere alla stipulazione di un affare, non può estendersi automaticamente ad indagini di carattere tecnico – quale, ad esempio, la verifica delle condizioni per il rilascio del certificato di abitabilità - che esulano obiettivamente dal novero delle cognizioni specialistiche esigibili in relazione alla categoria professionale di appartenenza.
Il mediatore immobiliare, invece, diviene responsabile nei confronti del cliente se, conoscendo o potendo conoscere con l'ordinaria diligenza l'esistenza di vizi che diminuiscono il valore della cosa venduta, non ne informi l'acquirente; tale responsabilità si affianca a quella del venditore e può essere fatta valere dall'acquirente sia chiedendo al mediatore il risarcimento del danno, sia rifiutando il pagamento della provvigione.
In merito a questioni di natura tecnica, come ad esempio la mancata concessione del certificato di abitabilità, una responsabilità del mediatore può porsi, perciò, nei soli casi in cui il mediatore abbia taciuto informazioni e circostanze delle quali era a conoscenza, abbia riferito circostanze in contrasto con quanto a sua conoscenza oppure nel caso in cui, sebbene espressamente incaricato di procedere ad una verifica in tal senso da uno dei committenti, abbia omesso di procedere o abbia erroneamente adempiuto allo specifico incarico.
La Corte, avendo verificato che il mediatore non era stato incaricato dalle parti di provvedere ad accertamenti in merito al certificato di abitabilità e che non era al corrente della non veridicità delle dichiarazioni della parte promittente venditrice, ha rigettato il ricorso del promissario acquirente, confermando la pronuncia della corte d’appello.
Avv. Mattia Tacchini
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