I robot sono programmati con raziocinio e ad oggi non hanno funzioni né di sentimento né di emotività. Ma non i miei: loro fremono, desiderosi di farci da tramite.
Osservano ciò che li circonda con sguardi languidi e la piccola lingua sporgente; sono vogliosi, pronti all’azione. Sanno che c’è una via differente. Oltre allo sfruttamento, c’è la possibilità di comunicare, di ritrovare la sinergia con ciò che è parte degli esseri viventi.
Ma come recuperare l’antico filo che lega tutti a questo pianeta? Forse, lasciando semplicemente spazio all’osservazione.
In Cyberfood, i robot ci aiutano a “costruire cibo”, estraendo dal terreno con le loro unghie la materia, quasi a mostrarci la via di collegamento tra noi e la terra.
Gli animali che circondano Cyberslurp attendono fiduciosi questa congiunzione con l’umana tecnologia.
Forse, in un utopico futuro, saremo in grado di inserire nuovi dati nella scheda di memoria dei robot, lasciando in eredità alle generazioni future una visione più libera, slegata dal mero uso e consumo. Osservando, al di là della nostra voracità fisica, potremmo appagare la fame dell’anima, con l’aiuto dei robot, che riflettono i nostri limiti ma anche le nostre infinite possibilità.
Vernissage
Sabato 28 novembre 2015, ore 18.30 @ Circolo Wood
Segue:
· ore 20,00 cena vegetariana, € 20,00 bevande incluse, il menu sarà:
- Tris di antipasti: flan di zucca con crema al formaggio, plumcake salato, hummus con cruditè
- Risotto alla birra e timo
- Torta di carote e mandorle
Prenotazioni a info@circolowood.it o ai numeri 0322.340059 - 348.7711086.
· ore 22,00 concerto intitolato "ConciOrto": musica per melanzane, zucchine, cetrioli dolci, flauti traversi, sax e chitarre. Direttamente dall'orto.
Musica sostenibile per persone sensibili.
Biagio Bagini - vocals, guitar / lyrics, musical ideas.
Gian Luigi Carlone - vocals, vegetables, flute / production, arrangements and mix.
Presentazione di Cristina Trivellin CyberMythology
Il titolo dato alla mostra vuole definire in modo efficace e sintetico il clima poetico in cui nascono e vivono le recenti opere di Alessandra Marinoni. Se gli esordi dell’artista si dedicano principalmente alle nature morte e in generale a una pittura cosiddetta realista, ovvero vicina alla classicità per scelte formali e stilistiche, sembra oggi che una sorta di “salto quantico” sia stato compiuto.
Sappiamo che però i cambiamenti radicali sono un’illusione e anche quando ci paiono tali, essi sono il frutto di un lungo processo, dei cui esiti tangibili possiamo talvolta sorprenderci.
Queste due serie di lavori, i Robot e l’Ecobestiario sono in realtà l’estrinsecazione iconografica di un percorso che per forza ha radici lontane: nutrito da anni di viaggi, esperienze, letture, meditazione e lavoro, molto lavoro: l’amore persistente per i pennelli e i colori ad olio, le velature, l’odore pungente che si libera dal tubetto spremuto.
Alessandra pare voglia dimostrarci che la pittura, considerata spesso un
medium che ha esaurito le sue risorse espressive già dal passato secolo, può ancora veicolare temi e immaginari fortemente legati alla contemporaneità.
Dalla notte dei tempi l’inconscio collettivo è popolato da fantastiche creature artificiali create a immagine e somiglianza dell’uomo, a partire dal Golem fino ad arrivare al Robot, unite alle paure che questi “mostri” possano rivoltarsi contro il creatore stesso, proliferando e distruggendo il genere che ha peccato della presunzione demiurgica di concepirli e dar loro vita. Al fianco di queste figure è altresì presente nella mitologia la Chimera, ibridazione tra uomo e animale o tra animale e vegetale,
simbolico superamento dei confini naturali e sfida che unisce paura e sagacia, scienza e mistero.
Entrambe sono proiezioni di desideri e terrori, volte a cercare un’alterità che ci assomigli ma che sia nello stesso tempo fuori di noi, o meglio nostro prolungamento, protesi. Sono mezzi per pervenire a nuove conoscenze del sé, individuale e collettivo, il tentativo di annettere parti di noi che fatichiamo a ri-conoscere, perdute nella tradizione dicotomica che pervade il percorso ontologico alle origini della
nostra cultura occidentale. Strumenti di riflessione meno narcisistici che ci pongono alla giusta distanza per meglio osservare, osservarci, per superare le superstizioni e le paure del futuro, assumendo sulle nostre spalle di esseri umani il compito di conoscere l’altro-da-sé e ambire ad una acquisizione più estesa del mondo.
Ed è proprio questa la spinta che anima il fare di Alessandra Marinoni: così, i suoi Robot sono creature ibride che dell’umano hanno acquisito, oltre ai caratteri esterni anche le possibilità di avanzamento insite nel genere stesso: l’ironia, la capacità di provare sentimenti, la consapevolezza dei bisogni affettivi che così spesso si tende a rimuovere.
Nello stesso tempo in questa visione futuribile c’è uno spazio sacro che è quello del passato, della storia.
L’ingresso nel cosiddetto pustumano deve portarsi dietro ciò che di umano portiamo nel codice genetico, anche se depurato dalle immani visioni antropocentriche che hanno generato guerre e scempi. Come scrive Antonio Caronia nel suo breve saggio “Dopo l’uomo” (…) il postumano ci apparirà allora come una fase del processo di sviluppo della specie umana in cui la nuova pervasività e il nuovo spessore della tecnica richiedono ormai un aggiornamento dell’analisi e del modo di vedere la stessa tecnica(…).
Le opere dell’Ecobestiario, invece, paiono attingere ad antiche figure mitologiche contaminate da linguaggi fumettistici e dal sapore assolutamente contemporaneo. Simpatici ed accattivanti al primo impatto, questi animali fantastici pongono l’accento, un accento grave, sulla necessità di osservare i danni che quotidianamente inferiamo alla natura, con i nostri rifiuti, con la nostra più o meno consapevole presenza inquinante sul pianeta. Ma non c’è denuncia aspra nel linguaggio visivo e concettuale adottato da Alessandra Marinoni, né tantomeno tracce di retorica di chi si pone in cattedra brandendo lance moralistiche e suggerendo ancora una volta verità che non possono essere assolute. Quelle, l’Arte le sa scovare dentro ognuno di noi, accendendo piccoli bagliori nelle
nostre stanze.