Val Grande, bilancio di un parco "differente"
Il Parco nazionale della Valgrande è riuscito a fare delle sue caratteristiche "estreme", che lo rendono un unicum nel panorama nazionale, dei punti di forza, anche grazie al ruolo che il parco ha saputo ritagliarsi nel tempo.
Maurizio Dematteis
Il Parco Nazionale della Val Grande, istituito nel 1992, tutela l'area selvaggia più estesa d'Italia: 15.000 ettari tra l'Ossola, il Lago Maggiore e la Val Vigezzo, caratterizzati da un tasso di wilderness tra i più elevati d'Europa. Ma la vera novità è che da ottobre del 2023 i 15 mila ettari sono diventati 17.000, grazie all'aggiunta di un'area di 2.000 ettari dei Comuni limitrofi di Verbania, Mergozzo e Ornavasso.
«Oggi Val Grande è un parco con un cuore wilderness e una cintura intorno che guada al Lago Maggiore – spiega Cristina Movalli, biologa del Parco Nazionale Val Grande -. È stata aggiunta una zona cuscinetto in grado di ospitare le persone interessate a visitare l'area wilderness del parco». Si arriva, all'occorrenza si soggiorna, ma poi la vera avventura è quella di inoltrarsi tra i sentieri alla ricerca della vegetazione, degli animali selvatici e delle tracce di una cultura millenaria ormai scomparsa. «Essere l'area wilderness più grande d'Italia è il nostro slogan – continua Movalli – e anche se esistono altre di aree naturali, ad esempio in Trentino o sul Gran Sasso, che hanno caratteristiche simili alle nostre, restiamo un primato. Il Decreto istitutivo del 2 marzo 1992, infatti, ha voluto rimarcare che l'area tra i torrenti San Bernardino, detto "fiume grande", e il Pogallo, che sono i due corsi d'acqua principali del Parco Val Grande, è l'area naturale più estesa d'Italia».
Un primato che attira
Curiosi, amanti della natura e anche qualche figura naïf, arrivano qui alla ricerca di esperienze di survival: dormono in mezzo al nulla, scortecciando gli alberi e cogliendo il muschio per prepararsi un giaciglio per la notte, accendendo fuochi in periodi di siccità. «Noi ovviamente queste esperienze le scoraggiamo – spiega la biologa –. Una volta ci hanno persino proposto di fare una sorta di grande fratello della sopravvivenza in Val Grande. E poi ci sono gli ospiti che si mettono alla prova o quelli che vorrebbero fare esperienze new age come il bagno nel fieno o altre cose del genere. Noi cerchiamo di proporre qualcosa di più autentico: dall'attività outdoor in natura alle memorie della transumanza alla storia etnografica, raccontando il percorso che ha trasformato la Val Grande da area vissuta a selvaggia, di ritorno». La Val Grande infatti è da sempre una valle difficile ed impervia, all'interno della quale però fin al secondo dopoguerra la gente ha vissuto attraverso economie di sussistenza, per poi abbandonarla e scendere verso il fondovalle quando è partito il boom economico dell'industrializzazione. Dalla Val Grande sono scappati tutti, mentre la vegetazione riprendeva possesso dell'area, giorno dopo giorno, e oggi questo abbandono si è trasformato addirittura un bene da tutelare e riscoprire, un ambiente naturale di ritorno che oggi molto ci può spiegare del corretto rapporto uomo natura.
Il turismo per il territorio del parco rappresenta sicuramente un'opportunità, un tema di carattere strategico: l'essere geograficamente compresi tra il bacino turistico del Lago Maggiore, con oltre 2 milioni di presenze l'anno, e quello della Valle Vigezzo e delle vallate ossolane, delinea le potenzialità del parco nell'intercettare i flussi degli appassionati alle esperienze escursionistiche e naturalistiche. «Monitoriamo gli accessi nel parco attraverso alcuni contatori, e poi abbiamo i registri dei bivacchi, una decina di vecchi edifici un tempo usati dai pastori, ristrutturati con tecniche architettoniche conservative, dove gli ospiti, in maniera spartana, possono passare la notte, dove le persone scrivono le loro impressioni». Conteggi e relazione dalle quali si evince che in inverno la Val Grande "riposa", salvo le visite dei pochi affezionati avventurosi, in luglio e agosto ci sono i picchi di presenze, da gestire, mentre nelle mezze stagioni cominciano ad affluire sempre più turisti in cerca delle meraviglie del foliage o della fioritura primaverile. L'aumento di afflusso di turisti fa crescere una certa sensibilità in alcuni operatori turistici che cominciano a considerare possibilità di investimento nell'ambiente, o meglio, nelle attività turistiche che rispettano l'ambiente. Valorizzando alcune nicchie di mercato: prodotti locali, ricettività extralberghiera, esperienze relazionali. «Non si tratta ancora di numeri tanto alti, ma segnalano all'Ente la strada da perseguire per il futuro».
Il Parco e la sua gente
Per quanto riguarda il rapporto del parco con i residenti al suo interno, spiega la biologa, negli ultimi anni si è instaurato un buon dialogo. «L'istituzione del parco ha avuto problemi iniziali con la popolazione, che abbiamo dovuto gestire, come capita sempre. Oggi però, probabilmente anche a causa dell'acquisita consapevolezza del cambiamento climatico da parte dell'opinione pubblica, i residenti capiscono il valore della tutela ambientale e sono più propensi a collaborare con noi. Non si sentono più le lamentele del tipo "qui è tutto abbandonato cosa volete che facciamo...", oppure "eh, ma non siamo mica la Svizzera", o ancora "ma cosa viene a fare qui la gente che non c'è niente". Oggi grazie a progetti condivisi come Comuniterràe la gente si è molto avvicinata al Parco, e ne ha riconosciuto il valore». Si tratta di un progetto culturale partecipato avviato dal Parco nel 2017 che continua ancora oggi, partito dal percorso di costruzione delle Mappe di Comunità delle Terre di Mezzo per passare poi alla costituzione di un ecomuseo per la tutela del patrimonio culturale e lo sviluppo sostenibile del territorio.
Un bilancio positivo
A 32 anni dalla sua costituzione e oltre 25 di attività il Parco nazionale della Val Grande ha realizzato sul territorio centri visita, inaugurato ecomusei nelle frazioni, gestito la cartellonistica dei sentieri, ma soprattutto è riuscito a costruire un senso di appartenenza e di orgoglio tra la popolazione e le amministrazioni locali. «Se devo fare un bilancio delle cose positive fatte in questi anni – conclude Movalli, memoria storica del Parco, entrata come collaboratrice esterna ed ora in forze nella struttura – parlerei assolutamente dei bivacchi, oltre 10 baite restaurate con progetti conservativi diventate dei punti di riferimento per gli escursionisti, spartani ma aperti tutto l'anno. Sono semplici recuperi edilizie che però funzionano a meraviglia e mantengono la memoria storica della valle. E tra le cose positive metterei di sicuro l'adesione alla Carta del turismo sostenibile, che è arrivata ormai al terzo rinnovo e ci ha permesso di avvicinare al Parco anche agli operatori economici locali. Il Parco della Val Grande in questi 30 anni ha prodotto decine di opportunità lavorative in paesi marginali, comuni di 100 o 150 persone dove trovare opportunità lavorative non è per nulla facile. Solo le guide accreditate del Parco oggi sono 27. E poi è nata una cooperativa che si occupa della manutenzione sentieri, muretti in pietra e ricerca sul territorio». Insomma, un bilancio positivo di un ente nazionale a servizio del territorio, capace di valorizzare quei servizi ecosistemici sempre più percepiti come fondamentali dalla società civile.