ALI & AVA – regia di Clio Barnard
Genere Drama - durata 95 minuti
Ava è un'assistente scolastica irlandese, vedova e madre di un figlio e una figlia entrambi adolescenti. Ali è un'ex dj di origini bengalesi, gestore di appartamenti con alle spalle un matrimonio doloroso. Entrambi vivono a Bradford, città industriale del West Yorkshire, profonda Inghilterra che non vede di buon occhio la loro relazione. Eppure dopo essersi incontrati e sedotti, Ava e Ali decidono di passare del tempo insieme e poco alla volta diventano una coppia. A unirli sono la musica, la passione per il ballo, la voglia rinnovata di amare e trovare qualcosa di romantico nelle rispettive vite.
Clio Barnard conferma il suo sguardo profondo ed empatico verso due personaggi alla deriva, in un ambiente ostile e conflittuale. L’eco laochiana, che si riverbera ovunque, rovescia però le urgenze. Se Ken Loach arriva ai sentimenti attraverso la rappresentazione del sociale, la Barnard compie il tragitto inverso. La sensibilità attoriale di Adeel Akhtar e Claire Rushbrook, che con i loro corpi ordinari rendono credibili esaltazioni e titubanze, ed una colonna sonora che accompagna in modo esemplare l’ultima delle loro differenze.
Il film ci coinvolge è capace di farci immedesimare nei personaggi al punto da sognare di essere il protagonista, ripeterne i gesti eroici, le scelte coraggiose: quando si è bambini o anche ragazzi, anzi, persuadersi per un attimo di essere veramente quel personaggio. Ma di questi tempi bigi e spesso socialmente noiosi, possiamo considerare sufficiente che il cinema ci proponga un paio di tipi che ci piacerebbe invitare a cena. E neanche per farci chissà quali discorsi (sai mai che pure questi, addentrandocisi, attacchino col Donbass e il vaccino che è più nocivo della malattia), ma per godere della loro capacità di entusiasmarsi, della loro spontaneità e soprattutto della totale assenza di sovrastrutture. Ecco, Ali e Ava sono esattamente questo: i semplici protagonisti di una storia semplice, non identificati con i cappi culturali che cercano di stringergli al collo, senza nessun infingimento, non sono ossessionati dall’idea che devono dover dimostrare qualcosa a qualcuno, e sono pronti a sondare con curiosità l’orizzonte altrui. Il miracolo della regista britannica Clio Barnard è di costruire due personaggi di finzione più autentici di molte persone reali. E che intendono benissimo cosa significhi amarsi, anche se non saprebbero spiegarlo, e neppure passerebbe loro per la testa di farlo.
Non è una storia d’amore tra belli, come si usa nei film, e questo aiuta a cogliere quel che di affascinante hanno entrambi. Veniamo posti di fronte a una realtà sociale nuova, la possibilità che l’immigrato faccia parte di uno strato sociale più elevato del nativo. Il ritratto suburbano e proletario (in senso ampio), insieme alla delicatezza del tono ricordano Ken Loach. Clio Barnard osa abbastanza in termini di immagine, propone qualche parte con camera a mano, e in molte altre immagine destrutturata, iper-dinamica, simpaticamente caotica, cromaticamente inafferrabile. Il film è cronologicamente lineare, senza alcun feedback, ma siccome non ci sono sviluppi della trama altamente drammatici quasi sempre può scegliere liberamente a quale evento passare da quello precedente, e il risultato è sempre molto felice, anche in termini di montaggio. I due interpreti di un simile gioiello del cinema indipendente, Adeel Akhtar e Claire Rushbrook sono assolutamente eccezionali.