Alina Marazzi ricostruisce la vita della madre Liseli, morta suicida quando lei aveva 7 anni, attraverso gli home movie girati fin dai tempi del nonno, che "aveva comprato una cinepresa già negli anni Venti". Più che una ricostruzione documentaria, Un'ora sola ti vorrei è il tentativo di restituire voce a chi non c'è più e di permetterle di raccontarsi da sola, in voce fuori campo e in forma di lettura di diario, nonché attraverso le immagini di tutta una famiglia caratterizzata da un grande benessere economico, un'istruzione elevata (il nonno della regista era il fondatore della storica casa editrice Hoepli) e una spensieratezza che appare più recitata a beneficio della cinepresa che realmente vissuta.
Soprattutto nel caso di Liseli, che non ha mai "trovato il proprio posto nel mondo", nonostante quell'esistenza apparentemente dorata. E poiché al centro della storia c'è un rapporto madre figlia bruscamente interrotto e in qualche modo irrisolto, con grande coraggio e onestà Marazzi intuisce la possibilità di un disagio profondo legato proprio alla maternità: "Chissà se anche lei, come me, ha avuto paura di deludere i suoi figli", dice la madre, a proposito della nonna.