LE CASE OPERAIE DEL COTONIFICIO VERBANESE
ricordi giovanili di Bruno Lo Duca e non solo
Mantengo il ricordo di un bambino di 10-11 anni alla metà degli anni '50, quando andavo nelle case operaie del Cotonificio, dove abitavano i genitori di mio zio. Ho l'immagine di stabili piuttosto malridotti che, ciò non di meno, formavano un piccolo villaggio, con tanto di osteria con campo di bocce e di negozio di alimentari. L'attuale via Case nuove non esisteva di fatto, perchè terminava esattamente ... nel campo di bocce.
Ci sono ritornato alla fine degli anni '50, quando le case erano state ristrutturate (mantenendo grosso modo la struttura originaria); ci abitava un mio compagno di classe, il cui padre era assistente al Cotonificio che, quando rincasava, era sempre "vestito da capo a piedi" di fiocchi di cotone. Dietro le case si stendeva una sorta di brughiera e c’era pure uno strano stagno, nè fermo nè mobile; ci facevamo il bagno d'estate, con la compagnia dei tafani, che ci torturavano a loro piacimento.
Tra quelle case ho fatto amicizia con una "giovanissima" Maria Paola Bisoglio, che molti anni dopo sarebbe diventata segretaria provinciale della Cisl, mentre io avrei assunto l'incarico di segretario provinciale della Cgil. Un destino originale e un'esperienza straordinaria, che ci hanno sempre consentito di dialogare con reciproca concreta disponibilità e con piacevole frequentazione, fino a che lei purtroppo ci ha prematuramente lasciato.
Per l'occasione di impostare questo breve articolo, ho ritrovato presso l'Archivio di stato la richiesta dell’azienda al Comune a luglio del 1957 per abbattere e/o ristrutturare le case operaie "dove verranno creati degli alloggi formati da due, tre e quattro locali, oltre ai servizi igienici e sanitari posti in ogni appartamento (completamente mancanti negli attuali fabbricati)"; a ottobre dello stesso anno venne presentata una seconda richiesta per costruire la futura "villetta del direttore" (ancora oggi proprietà del Cotonificio). E’ di qualche anno fa un'ulteriore e importante ristrutturazione delle case, che sono state vendute e, quindi, non sono più "le case operaie".
Non mi è, invece, stato possibile datare la costruzione originale delle case ma, date le costruzioni similari realizzate a Intra piuttosto che a Trobaso, direi che si può ipotizzare ai primi anni del 1900. Così parrebbe dalla foto sotto riportata, che - mi si dice - essere stata scattata in quel periodo (le case sono nel riquadro).
Questo solo ho potuto ricostruire; era davvero poco, ma mi sono ricordato che in quegli anni '50-‘60 il prete di San Bernardino era don Giuseppe Masseroni (per circa 15 anni). E allora l'ho disturbato e lui molto volentieri si è messo a raccontare. In estrema sintesi vi trasmetto ciò che mi ha detto: “Alla fine del 1949 a San Bernardino c’erano case e lavoro (molte le aziende tra S. Anna e S. Rita), ma c’era molta miseria e il rione era decisamente isolato e mal considerato sia da Intra sia da Pallanza.
La Chiesa e la Casa del popolo (l’osteria delle case operaie, a forte prevalenza comunista) non si parlavano; per due anni si ignorarono. I “comunisti” andavano a votare in gruppo con la bandiera rossa, le funzioni religiose erano ben poco frequentate e la Madonna pellegrina non era gradita.
Ma la mia formazione seminariale ha dovuto fare i conti con le esigenze sociali presenti e con gli aspetti umani che ne derivavano; in accordo con il parroco di S. Stefano don Giacomini non esposi la scomunica del vescovo contro i comunisti e i loro alleati ed,essendo anche infermiere, mi misi ad aiutare le persone bisognose di cure. A fianco del gioco delle bocce stava la scuola elementare e noi organizzavamo sia il doposcuola sia un corso estivo per preparare i bambini all’esame per la media-avviamento”.
E qui mi ha riportato a un particolare, che avrei conosciuto anche a Intra fin quasi alla fine degli anni ’60: “Ogni famiglia faceva la spesa al negozio di alimentari e si faceva segnare su un libretto blu per un intero mese gli acquisti fatti. Se poi, alla fine di quel mese, non era stata in grado di pagare tutto, il mese successivo andava in un altro negozio più lontano, per poi ritornare al precedente dopo avere saldato il suo debito”. E ancora: “La signora Campana gestiva il negozio, mentre suo marito aveva una piccola officina casalinga, nella quale aveva ideato e montava dei motori sulle biciclette, trasformandole in rudimentali motorini”.
E, per finire, un aneddoto curioso: “La ciminiera del cotonificio si era inclinata e, per raddrizzarla, era venuto un muratore bergamasco che, con un aiutante, saliva come una scimmia aggrappandosi ai cerchi della ciminiera, seduto su un’assicella, e togliendo e inserendo mattoni in modo da riequilibrala”. Altri tempi, vero?
Le case operaie nel 1900 (studio Enzo Azzoni)
E come si presentano oggi
La "villetta del direttore" è rimasta come era