Una giornata del 2013 nella Striscia di Gaza, territorio invisibile ai più se non attraverso telegiornali di guerra. Giornata che inizia con un evento inspiegabile: sulla spiaggia di Gaza si arenano centinaia di mante.
I pescatori se le litigano per venderle al mercato, perché nonostante le dichiarazioni d'intenti di Israele, il mare per loro non è libero, e oltre a subire le aggressioni dell'esercito israeliano, devono spostarsi nelle acque egiziane per riempire le loro reti. Lungo l'arco di 24 ore seguiamo anche Jabber, agricoltore che coltiva campi a poche centinaia di metri dal confine israeliano e dalle jeep militari.
I fratelli Mohammed e Majd, che scrivono testi e mettono in musica i loro sentimenti sul conflitto. Noor, giovane speaker di Tijan Tv, che rende conto delle vittime e ricorda come l'80% della popolazione dipenda dagli aiuti umanitari.
Il fotografo Moemen, rimasto senza gambe mentre documentava i bombardamenti del 2008, che continua a scattare foto del contesto in cui vive. Salem, calciatore professionista e oggi allenatore, una carriera finita per via della guerra. Fatima, in passato nomade, che vive di pastorizia confinata nella Striscia. E poi i ragazzi del Gaza Parkour Team, che si allenano dove possono, anche nel perimetro del cimitero.
Le macchine digitali del collettivo di filmmaker italiani Teleimmagini - con la cooperazione fondamentale di referenti locali - individuano quelle che più che storie sono spunti narrativi, e li registrano cercando di limitare l'intervento al minimo: bando alla voce over, evitati commenti e giudizio, pochissimi dialoghi sottotitolati e non costruiti a tavolino, rare didascalie sulle persone riprese.
Si lascia insomma che si manifestino i dati fisici del quotidiano, anche tramite paradossali contrasti visivi: un movimento di macchina e un commento audio trasformano un ex glorioso campo da calcio in luogo attuale di abbandono e disarmo.
Il lavoro manuale di un contadino che lavora a pochi passi dai colpi di arma da fuoco rende l'idea di un territorio reso sterile dalla violenza, senza nessuna certezza di futura fertilità.
La ripresa di un allenamento all'aperto si trasforma in immagine spaventosamente atroce quando sullo sfondo a poca distanza due esplosioni riempiono il cielo di fumo, ma nello stesso frame convive la volontà ottimista di chi resiste: i ragazzi del gruppo di parkour, che coi loro movimenti esaltano la leggerezza e trasformano in palestre gli squallidi palazzi in rovina.
Esempio di filmmaking indipendente, rigoroso, antispettacolare, essenziale, Striplife invita lo spettatore a un mosaico di quadri da decodificare e osserva un teatro di guerra e reclusione, fatto di edifici nuovi eretti a fianco ad altri sbriciolati dalle bombe. Testimonianza rilevante e rispettosa, vicino al fotoreportage, cinema senza sensazionalismi né speculazioni, semmai pervaso da una speranza di pace data dalle nuove generazioni.
Un film di Nicola Grignani, Alberto Mussolini, Luca Scaffidi, Valeria Testagrossa, Andrea Zambelli.