La sua prima fotografia l’ha scattata all’età di otto anni. La fotografia ritraeva lo zio Rino, il proprietario della macchina fotografica, ovviamente con pellicola, ovviamente in bianco e nero, era il 1964.
Nella fotografia, che è molto sbiadita, lo zio Rino è, chirurgicamente, tagliato a metà in verticale. Non è un errore di inquadratura, il taglio era voluto: dello zio che sta nell’estremo sinistro della fotografia si vede una metà mentre l’altra si può intuire, tanto è uguale. Tutto il resto della fotografia è
occupato dal paesaggio con orto, prati e boschi, dietro la casa dove viveva nel paesino dell’entroterra verbanese.
Già da quella prima fotografia si può percepire l’intento di cogliere una visione “di lato” della realtà; di guardare le persone nella loro essenzialità, basta un particolare per presentarle. Il paesaggio, la natura rappresentano la sostanza dell’immagine: le cose, i particolari sono l’essenza. Il cappello di
paglia è forse la cosa più importante di quella prima fotografia, oltre allo sguardo dello zio. Crescendo ha continuato a fotografare: sassi, muri, legni, insetti, fiori, paesaggi ma quasi sempre solo piccoli dettagli; con un’attenzione ai particolari ed alle cose minime, inutili, normalmente trascurate che rappresentano però il legame, l’evocazione della realtà che verrà poi ricordata.
Nel 2004 è stato uno dei soci fondatori dell’associazione Il Brunitoio di Ghiffa (VB) e lentamente ha iniziato a fotografare tutte le fasi dell’associazione: inaugurazione di mostre, eventi culturali, attività didattiche; sue sono quasi tutte le fotografie pubblicate nel sito. Durante gli anni dell’attività dell’associazione ha prodotto migliaia di fotografie digitali, che cerca di lasciare il più possibile inalterate: non è un fotografo professionista ed evita il più possibile di ricorrere agli strumenti che la tecnologia attuale mette a disposizione(tecnologia che,forse,potrebbe padroneggiare essendo stato un informatico per oltre quarant'anni). Nel 2013 ha iniziato a fotografare manifesti pubblicitari strappati, rovinati dagli agenti atmosferici e dal tempo che passa. Non sa neppure lui il perché di queste fotografie; cogliendo particolari solitamente trascurati ma evocativi, da allora è riuscito a portare in evidenza pensieri e stati d’animo solitamente trascurati e coperti nella quotidianità, proprio come i manifesti strappati sono ricoperti da quelli nuovi…
DESCRIZIONE DELL'OPERA :
Ho scattato la fotografia esposta il 7 marzo 2023.
Quella sera, guardandola al computer mi è tornata in mente la morte di Mahsa Amini avvenuta il 19 settembre 2022 [da un articolo di Sky TG24: “Il 16 settembre 2022 la 22enne Mahsa Amini di origine curda fu arrestata perché non indossava correttamente il velo. Tre giorni dopo morì in ospedale. Un omicidio che mobilitò l’Iran attraverso proteste senza precedenti: le strade da Saqqez a Teheran si riempirono di donne che bruciavano gli jihab in nome della libertà. Ma la repressione fu spaventosa: almeno 500 manifestanti uccisi e migliaia gli arresti…”].
Nel manifesto strappato, lo sguardo della donna mi ha fatto pensare al dolore impotente di fronte ai soprusi subiti, ma assieme fiero e sicuro della giustezza del proprio agire. Da qui è stato facile passare con il pensiero ai soprusi ed ai dolori subiti da tutte le donne, inferti da tutti noi “maschi” sia con azioni drammaticamente gravi come i femminicidi che con gesti quotidiani di normale e tranquilla sopraffazione. Quest’opera che viene esposta nel mese successivo all’otto marzo, vorrebbe che non sia relegato ad un unico giorno un gesto di facile risarcimento nei confronti delle donne. Guarderemo quindi nell’occhio della MiGAM e vedremo emblematicamente l’occhio di tutte le donne offese e maltrattate a ricordarci che “È sempre l’otto marzo”!
Da sabato 30 marzo a sabato 20 aprile al MIGAM presso NonEdicola ai Pontini.Sbirciando dentro l'occhio giallo e premendo il pulsante rosso. H 24