DANTE – regia di Pupi Avati
Genere Biografico - durata 94 minuti
Il film vede Boccaccio impegnato nella stesura del "Trattatello in Laude di Dante" e, durante la scrittura, ripercorre la vita del padre della lingua italiana, soffermandosi sugli eventi che maggiormente hanno segnato la sua esistenza. È il 1321 quando Dante muore a Ravenna, lontano dalla sua patria, Firenze. Partendo da Firenze, diretto a Ravenna, il poeta del Decameron ripercorre parte del cammino fatto da Dante negli ultimi anni del suo esilio. Durante il tragitto verso il monastero di Santo Stefano degli Ulivi, Boccaccio ha modo di incontrare diverse persone più o meno vicine a Dante, tra cui chi lo ha accolto durante l'esilio, chi, invece, lo ha allontano e, infine, la figlia del poeta. È in questo modo che il Boccaccio viene a conoscenza di maggiori dettagli della vita di Alighieri e riesce a ricostruire la sua esistenza e a narrare la storia del sommo poeta fino ai posteri.
“…questi fu quel Dante che a’ nostri seculi fu conceduto di speziale grazia da Dio; questi fu quel Dante, il qual primo doveva al ritorno delle Muse, sbandite d’Italia, aprir la via.” Così scriveva Giovanni Boccaccio nel suo “Trattatello in laude di Dante”, una delle prime biografie sul poeta fiorentino. Come aveva già fatto nel suo romanzo “L’alta Fantasia”, Pupi Avati si affida proprio al Boccaccio per raccontare Dante, prendendo spunto dall’incarico, che nel 1350 gli fu effettivamente affidato dalla Signoria di Firenze, di portare a Suor Beatrice, figlia di Dante Alighieri, dieci fiorini d’oro in risarcimento dell’ingiusta condanna a morte cha dal 1302 costrinse Dante a una vita in perenne fuga da una corte all’altra e alla miseria fino alla morte avvenuta a Ravenna nel 1321. Raccontare per immagini la vita di Dante senza rischiare d’imbarcarsi in un’impresa monumentale e forse noiosa e retorica non era semplice ma Avati risolve efficacemente attraverso il racconto del viaggio del Boccaccio e i suoi incontri, forse veri o forse solo immaginati dal regista, con personaggi che conobbero la vita del poeta prima e durante l’esilio e raccontano i momenti più rilevanti della sua vita. Nel mettere in scena il viaggio di Giovanni, Avati ci mostra un Medioevo sofferente per via della peste che in quegli anni decimò la popolazione, ma le immagini non sono disturbanti, è troppo innamorato dei suoi personaggi il regista e anche nella crudezza che mostra c’è poesia. Bravo Alessandro Sperduti che interpreta il poeta da giovane e ne mostra la sensibilità quasi infantile quando Beatrice (interpretata da Carlotta Gamba, che merita il Paradiso) gli rivolge un saluto, l’unica volta che sentirà la sua voce. A Sergio Castellitto è affidato il compito di interpretare Giovanni Boccaccio e la scelta è ottima, la sua recitazione non è mai sopra le righe e sarà difficile incontrare un altro Boccaccio così efficace. Un bel film, anche coraggioso perché fuori dai canoni del cinema attuale. Non è un biopic e non è neanche una narrazione patinata, è un modo efficace di raccontare tutta la sofferenza che si nasconde dietro la poesia del poeta più grande di tutti. Vederlo al cinema sarà per ciascuno un modo per tornare con la memoria tra i banchi del liceo dove spesso però, come ha detto lo stesso Avati nella conferenza stampa alla Casa del Cinema, Dante ce l’hanno fatto odiare. “ho pensato che Dante meritasse di essere risarcito e riavvicinato alle persone” ha detto il regista prima di passare la parola a Sergio Castellitto che dice: “Ce l’hanno fatto studiare per forza, ma nessuno ci ha mai raccontato che era stato cacciato, era un soldato ed era anche stato povero, che era uno di noi. Ma Dante era anche un poeta, uno capace di entrare in un buco nero e tirar fuori una pepita d’oro”. Quando si chiede al regista come mai in Italia si fanno in prevalenza film-commedia risponde così: “Non è una cosa che riguarda solo il cinema, ma in particolare è l’Italia che si è privata di ogni ambizione. Ormai nessuno ne ha più e se fa una cosa dice di avere anche un piano b. Ora chi ha il piano b alla fine si ritrova a fare quello. Io Invece ho impiegato vent’anni a fare questo film e ciò dimostra che i sogni sono possibili anche se oggi non ci crede più nessuno”