Genere: Drammatico Anno:2021 Regia: Leonardo Di Costanzo Attori: Toni Servillo, Silvio Orlando, Fabrizio Ferracane, Salvatore Striano, Roberto De Francesco, Pietro Giuliano, Nicola Sechi, Leonardo Capuano, Antonio Buil Pueyo, Giovanni Vastarella, Francesca Ventriglia Paese:Italia, Svizzera Durata: 117 min Distribuzione: Vision Distribution Sceneggiatura: Leonardo Di Costanzo, Bruno Oliviero, Valia Santella Fotografia: Luca Bigazzi Montaggio: Carlotta Cristiani Produzione: Tempesta con Rai Cinema in coproduzione con Amka Film Productions, RSI Radiotelevisione Svizzera / SRG SSR, con il sostegno del MIBACT DG cinema, dell’Ufficio federale della cultura, di Eurimages e il supporto della Sardegna Film Commission
Ariaferma, in qualche modo, è un Deserto dei Tartari delle prigioni. È il racconto di una sospensione, di una situazione anomala e carica di tensione, che comprime e sintetizza le dinamiche carcerarie (e forse non solo), portando all'evidenza tutta la loro assurdità.
"È dura stare in carcere, eh", dice a un certo punto Don Carmine Lagioia, rivolto a Gaetano. Non è una provocazione. La sua è la frase simbolo - eccezionalmente esplicita, in un film così composto, parco di parole, refrattario a ogni retorica - della situazione raccontata da Ariaferma.
Perché certo, alcuni stanno dietro le sbarre, e altri no, ma in fondo il carcere è carcere per tutti. Gaetano è Toni Servillo. Don Carmine è Silvio Orlando.
Due attori in forma smagliante che fanno a gara di bravura, rimanendo sempre sotto le righe, ma senza mai perdere un colpo, sempre pronti a reagire a ogni piccolo gesto del collega, e degli altri membri del cast. I loro personaggi sono i poli magnetici del film di Leonardo Di Costanzo: i vertici delle rispettive fazioni, quelli che meglio di tutti capiscono dove si trovano, in che situazione sono finiti e come si devono comportare, trovando terreni comuni a forza di strappi, duelli psicologici, sporadici e composti duelli verbali dai toni bassi e compressi.
"Io e te non abbiamo nulla in comune," si lascia scappare Gaetano a un certo punto, sotto tensione. Ma lo sa benissimo che non è vero.
Volti e interpreti perfetti; sceneggiatura precisa; un raro equilibrio narrativo essenziale ma carico di senso ed emozione; un uso della macchina da presa che, senza inutili virtuosismi, è capace di raccontare il carcere - quel carcere, ma forse anche l'idea stessa del carcere - in maniera ruvidamente realistica rendendolo al tempo stesso un altrove astratto e indefinito, vagamente da incubo.
Chiusi in quella bolla spazio-temporale, in uno strano e forzato panopticon, i protagonisti di Ariaferma rimangono separati da sbarre spesso invisibili, ma al tempo stesso imparano progressivamente a lasciare che quella divisione si faccia permeabile, liquida, mobile.
Il processo è delicato. Ogni minima soluzione, instabile. In ogni istante la tensione latente sembra poter esplodere, sembra poter scoccare la scintilla della rivolta, o partire l'arroccamento nel proprio mondo e nelle rispettive gerarchie.
Ma il mondo di tutti, detenuti e guardie è uno solo. Il carcere, certo. Ma anche quello in cui viviamo, sempre alle prese con settarismi, rivalità, paure, divisioni, intransigenze. E sempre, invece, bisognosi di un contatto umano, di una riservata confidenza, di una confessione a mezza bocca.
Di un momento di condivisione improvvisato e inedito con chi, di solito, consideriamo altro da noi..