Le cinque opere selezionate, tra le oltre settanta pervenute, saranno ora sottoposte alla Giuria degli ottanta Lettori che, congiuntamente alla Giuria dei Critici, sceglierà il vincitore.
I finalisti sono:
“Fuoco al cielo” di Viola Di Grado edito da La nave di Teseo
“Noi” di Paolo Di Stefano edito da Bompiani
“Prima di noi” di Giorgio Fontana edito da Sellerio
“L'Architettrice” di Melania Mazzucco edito da Einaudi
“Dolcissima abitudine” di Alberto Schiavone edito da Guanda
Per la parte relativa alla presentazione delle opere con gli autori, l’edizione 2020 del Premio Stresa di Narrativa sarà la prima edizione virtuale del concorso letterario. Gli incontri con gli autori si svolgeranno online grazie alla tecnologia di
videoconferenza. I lettori potranno assistere sia a mezzo cellulare che tablet o computer e allo stesso modo potranno anche intervenire con le domande.
Gli incontri saranno anche trasmessi live sulla pagina Facebook del Premio Stresa di Narrativa. Attualmente invece, per la finale, la segreteria del Premio Stresa di Narrativa intende procedere con le modalità ordinarie. La data della finale (presumibilmente alla fine di ottobre) sarà definita più avanti, seguendo l’evoluzione delle prescrizioni per gli
eventi pubblici al chiuso. La manifestazione è organizzata dall'Associazione Turistica Pro Loco di Stresa,
con il patrocinio e sostegno della Città di Stresa.
Targhe della Giuria
L’organizzazione del Premio Stresa di Narrativa ha deciso di istituire una targa speciale per ricordare il fondatore e primo vincitore del Premio Stresa di Narrativa e per molti anni presidente della Giuria dei Critici Gianfranco Lazzaro, scomparso a febbraio 2018.
La targa “Gianfranco Lazzaro” viene attribuita quest’anno a:
“Rose bianche sull'acqua – un giallo ambientato a Orta” di Erica Gibogini edito da Morellini Editore
La Giuria dei Critici ha altresì deciso di attribuire una “targa speciale” a:
“Quel primo bacio” di Renato Bianco – Interlinea edizioni
Storia del Premio Stresa
Il Premio Stresa di Narrativa ha quarantaquattro anni di vita: la fondazione risale, infatti, al 1976. Dopo un’interruzione di alcuni anni, il Premio Stresa di Narrativa è ripreso nel 1995 sotto l’egida dell’Associazione Turistica Pro Loco di Stresa. La presenza di tutte le principali case editrici e la presenza di scrittori di grande fama nell’albo d’oro (tra gli altri: Maurizio Maggiani, Alberto Bevilacqua, Simonetta Agnello Hornby, Antonia Arslan, Marco Santagata, Paolo Rumiz, Francesco Carofiglio, Francesca Melandri, Lidia Ravera, Lorenzo Marone, Carolina Orlandi, Elena Loewenthal), conferma la sempre maggiore rilevanza del Premio nel panorama letterario italiano.
L’Albo d’Oro del Premio Stresa di Narrativa:
1976 – Gianfranco Lazzaro - Il Cielo Colore delle Colline
1977 – Eugenio Travaini - Il vento in Testa
1978 – Marise Ferro - La Sconosciuta
1980 – Carlo della Corte - Grida dal Palazzo di Inverno
1981 – Virginia Galante Garrone - Se Mai Torni
1982 – Marcello Venturi - Sconfitti sul Campo
1983 – Davide Lajolo - Il Merlo di Campagna e il Merlo di Città
1984 – Giorgio De Simone - L'armonista
1995 – Duilio Pallottelli – Voglia di Famiglia
1996 – Enrico Fovanna – Il Pesce Elettrico
1997 – Dante Maffia - Il Romanzo di Tommaso Campanella
1998 – Guido Conti – Il Coccodrillo sull’altare
1999 – Maurizio Maggiani – La Regina Disadorna
2000 – Alberto Bevilacqua – La Polvere sull’Erba
2001 – Roberto Pazzi – Conclave
2002 – Diego Marani – L’ultimo dei Vostiachi
2003 – Simonetta Agnello Hornby – La Mennulara
2004 – Antonia Arslan – La Masseria delle Allodole
2005 – Maurizio Cucchi – Il male é nelle cose
2006 – Marco Santagata – L'amore in sé
2007 – Paolo Rumiz – La leggenda dei monti naviganti
2008 – Andrea Fazioli – L'uomo senza casa
2009 – Giuseppe Conte – L'adultera
2010 – Francesco Carofiglio – Ritorno nella valle degli angeli
2011 – Bruno Arpaia – L’energia del vuoto
2012 – Francesca Melandri – Più alto del mare
2013 – Lidia Ravera – Piangi pure
2014 – Valentina D’Urbano – Acquanera
2015 – Lorenzo Marone – La tentazione di essere felici
2016 – Carmine Abate – La felicità dell’attesa
2017 – Domenico Dara – Appunti di meccanica celeste
2018 – Carolina Orlandi – Se tu potessi vedermi ora
2019 -- Elena Loewenthal -- Nessuno ritorna a Baghdad
Breve profilo delle cinque opere finaliste:
“Fuoco al cielo” di Viola Di Grado edito da La nave di Teseo
Ispirato a un fatto di cronaca che ha disorientato il mondo, "Fuoco al cielo" racconta del male ubiquo che appartiene alla Storia ma che si rintana anche all'interno di ogni amore assoluto: perché la "città segreta" non è solo un luogo reale di distruzione e segregazione, ma anche il nodo più intimo e pericoloso di ogni relazione, dove i confini tra il sé e l'altro si confondono e può bastare una parola, un gesto, un grumo di silenzio per far crollare ogni cosa o metterla per
sempre in salvo. Tamara e Vladimir vivono a Musljumovo, remoto villaggio al confine con la Siberia, tra caseggiati in rovina e fabbriche abbandonate. Vivono in un'area geografica per decenni assente dalle mappe: quella della "città segreta", luogo sinistro da cui era vietato uscire e comunicare con l'esterno, responsabile negli anni '50 e '60 di ben tre catastrofi nucleari. Vladimir, infermiere di buona famiglia, è arrivato da Mosca, scegliendo di prendersi cura di chi non ha niente, delle persone dimenticate dal mondo. Tamara, insegnante, è invece nata e cresciuta nel villaggio, e
abituata a pensare che ogni cosa sia destinata a contaminarsi e guastarsi velocemente. Incontrandosi, i due vengono sorpresi da una passione totalizzante che si appropria di ogni pensiero, e accende un bagliore salvifico persino lì, nel luogo più radioattivo del pianeta, in mezzo ai resti di una natura satura di veleno. Questo sentimento così tenace, che sembra schermarli dalle insidie del reale, li rafforza e li divora al tempo stesso, finché un evento prodigioso arriverà a sconvolgere le loro vite e le loro certezze.
“Noi” di Paolo Di Stefano edito da Bompiani
Ci sono nella vita infiniti momenti che scorrono senza che ne conserviamo memoria, e altri invece destinati a imprimersi nella mente in modo così vivido da renderli misteriosamente compresenti a ogni istante che verrà. Paolo Di Stefano trova in queste pagine le parole per ciascun ricordo e insieme colma lacune, cerca ragioni, inscrive la storia di una famiglia nella Storia che ci coinvolge tutti. Finché sprofondato nel camminare, nell'ascoltare le curiosità di Maria e nel risponderle, a un certo punto ho cominciato ad avvertire che lì insieme a me e a Maria, per le strade di Città Studi, ti eri aggiunto anche tu e soffiavi e parlavi con noi, non volavi ma camminavi e parlavi con noi, e ne ero sicuro, talmente sicuro che neppure ho voluto chiedere a Maria se sentiva la stessa voce che sentivo io. E così in tre abbiamo fatto le scale, siamo entrati in casa e io mi sentivo assurdamente felice. Lo scherzo tormentoso inflitto a un fratellino minore, un frutto mangiato insieme al nonno sotto un albero di mandorle, l'intercalare di un padre – "picciotti mei!"; ma soprattutto un giorno dell'aprile 1967 in cui piove, Patty Pravo compie diciannove anni, a San Siro Burgnich segna il secondo gol contro il Bologna e un bimbo di cinque anni muore per una malattia che di lì a pochi mesi diventerà curabile. Paolo Di Stefano – il fratello maggiore, colui che gioca in un'altra stanza mentre la morte arriva, è il figlio condannato a vivere e ricordare. La Sicilia del Ventennio e poi dello sbarco alleato, un amore a Palermo, la Milano frenetica del boom, un uomo innamorato della letteratura che dalla luce accecante del sud giunge in Svizzera per cercare riscatto da un padre violento; donne dall'aspetto fragile ma dalla tempra di leonesse; il dialogo mai interrotto e mai compiuto con il fratello, la cui voce – rossa come le macchie sottocutanee della leucemia – è sottile e perentorio contrappasso a ogni momento di tregua; il futuro intravisto nelle curiosità di una figlia. Con emozione e misurata eleganza il narratore racchiude in questo romanzo il senso di un'esistenza intera, raccoglie le tracce di un universo di vite non illustri eppure notevoli per comporre il romanzo di una famiglia, di un "noi": forse la sola dimensione che possa salvarci, perché in fondo, senza saperlo, insieme siamo stati felici.
“Prima di noi” di Giorgio Fontana edito da Sellerio
Una famiglia del Nord Italia, tra l’inizio di un secolo e l’avvento di un altro. La metamorfosi continua della specie, che nasce contadina, diventa proletaria e poi borghese, e poi chissà. L’esodo e la deriva, dalla montagna alla pianura, dal borgo alla periferia, dalla provincia alla metropoli. Il tempo che scorre, il passato che impasta il destino, la nebbia che sale dal futuro; in mezzo un presente che sembra durare per sempre, l’unico orizzonte visibile, teatro delle possibilità e gabbia dei desideri. È questo il paesaggio in cui vivono e muoiono i Sartori da quando il primo di loro fugge dall’esercito dopo la ritirata di Caporetto e incontra una ragazza in un casale di campagna. Fino ai giorni nostri, quelli di una giovane donna che visita la tomba del suo bisnonno. Quattro generazioni, dal 1917 al 2012, dal Friuli rurale alla Milano contemporanea, dalle guerre mondiali alla ricostruzione alla globalizzazione, dal lavoro nei campi alle scrivanie delle multinazionali. È circa un secolo, che mai diventa breve: per i Sartori contiene tutto, la colpa, la vergogna, la rabbia, la frenesia, la stasi. Sempre la lotta e quasi mai la calma, o la sensazione definitiva della felicità. Ma i Sartori non ne hanno bisogno, e forse non ci credono neppure nella felicità. Perché se ogni posto nel mondo è una merda, è meglio imparare a vivere, e stare lì dove la vita ci manda. Romanzo storico e corale, vasto ritratto narrativo del Novecento italiano, forse il primo di uno scrittore sotto i quarant’anni, il racconto dei Sartori affronta il fardello di un’eredità che sembra andata in malora. Se gli errori e le sfortune dei padri ricadono sui figli, come liberarsene? Esiste
una forza originaria capace di condannare una stirpe alla solitudine? La risposta a queste domande è nella voce di un secolo nuovo, e nello sguardo di chi si accinge a viverlo.
“L'Architettrice” di Melania Mazzucco edito da Einaudi
«Tirar su una casa. Scegliere le tegole del tetto e il mattonato del pavimento. Immaginare facciate, logge, scale, prospettive, giardini. Per quanto ne sapevo, una donna non l'aveva mai fatto». Giovanni Briccio è un genio plebeo, osteggiato dai letterati e ignorato dalla corte: materassaio, pittore di poca fama, musicista, popolare commediografo, attore e poeta. Bizzarro cane randagio in un'epoca in cui è necessario avere un padrone, Briccio educa la figlia alla pittura, e la lancia nel mondo dell'arte come fanciulla prodigio, imponendole il destino della verginità. Plautilla però, donna e di umili origini, fatica a emergere nell'ambiente degli artisti romani, dominato da Bernini e Pietro da Cortona. L'incontro con Elpidio Benedetti, aspirante scrittore prescelto dal cardinal Barberini come segretario di Mazzarino, finirà per cambiarle la vita. Con la complicità di questo insolito compagno di viaggio, diventerà molto piú di ciò che il padre aveva osato immaginare. Melania Mazzucco torna al romanzo storico, alla passione per l'arte e i suoi interpreti. Mentre racconta fasti, intrighi, violenze e miserie della Roma dei papi, e il fervore di un secolo insieme bigotto e libertino, ci regala il ritratto di una straordinaria donna del Seicento, abilissima a non far parlare di sé e a celare audacia e sogni per poter realizzare l'impresa in grado di riscattare una vita intera: la costruzione di una originale villa di delizie sul colle che domina Roma, disegnata, progettata ed eseguita da lei, Plautilla, la prima architettrice della
storia moderna.
“Dolcissima abitudine” di Alberto Schiavone edito da Guanda
La storia di Rosa, minuscola eppure incredibile, ispirata a figure e ambienti reali, si mischia con la storia del Novecento fino ad arrivare ai giorni nostri, insieme alla necessità spietata di trovare una difficile pace. Torino, 2006. Piera, sessantaquattro anni, sta partecipando al funerale del suo ultimo cliente. Per gran parte della sua vita Piera Cavallero è stata Rosa, una prostituta. Ha avuto molto. Ha avuto niente. Ha avuto soldi, tanti, un piccolo impero economico insieme a una sua emancipazione personale. E ha avuto un figlio, che però non la conosce. Ma Rosa negli anni
non ha mai perso di vista questo figlio. Gli è stata accanto passo dopo passo senza farglielo sapere. Ora, giunta a fine carriera, sente che è arrivato il momento di chiudere i conti con il passato. Un passato che ripercorriamo dai primi anni Cinquanta, quando nella Torino in espansione del dopoguerra Rosa inizia il mestiere in casa con la madre, che le ha trasmesso la professione appena adolescente. Seguiamo le sue vicende e la sua caparbia evoluzione. Gli uomini incontrati, le cadute, la solitudine rotta dai pochi amici e dai clienti che l’hanno accompagnata.