di Euripide traduzione Umberto Albini
regia di Luca Ronconi ripresa da Daniele Salvo
scene Francesco Calcagnini riprese da Antonella Conte
Costumi di Jacques Reynaud ripresi da Gianluca Sbicca
luci di Sergio Rossi riprese da Cesare Agoni
Con Alfonso Veneroso, Antonio Zanoletti, Tommaso Cardarelli, Livio Remuzzi ,
Elena Polic Greco, Elisabetta Scarano, Serena Mattace Raso, Arianna di Stefano, Francesca Mària, Odette Piscitelli e Alessandra Salamida, Raffaele Bisegna e Matteo Bisegna
produzione CTB Centro Teatrale Bresciano - Teatro de Gli Incamminati - Piccolo Teatro di Milano Teatro d'Europa
Franco Branciaroli è di nuovo protagonista della storica edizione di “MEDEA” diretta da Luca Ronconi nel 1996, riallestita da Daniele Salvo.
Un doveroso omaggio al grande Maestro scomparso nel 2015 da uno degli artisti che ha lavorato con lui più a lungo e in maggiore vicinanza (basti ricordare spettacoli impressi nella memoria collettiva come La vita è sogno, Prometeo incatenato, Lolita), e un’occasione imperdibile di rivedere una delle pietre miliari della storia registica ed interpretativa del secondo Novecento.
E lo spettacolo, che vide Branciaroli nei panni femminili di Medea, è una pietra miliare della storia del teatro nazionale.
Infatti, se le letture in chiave psicologica di Medea portano a considerare questo personaggio come il prototipo dell'eroina combattuta tra il rancore per il proprio uomo e l'amore per i propri figli, e le analisi sociologiche tendono a trasformare la principessa della Colchide in una sorta di precorritrice del movimento femminista, in realtà Medea è il prototipo della minaccia impersonata da uno straniero, che approda in una terra che si vanta di avere il primato della civiltà.
“Medea – leggiamo nelle note di regia di Ronconi – è una 'minaccia', che incombe imminente anche sul pubblico”. Per questo suo essere una creatura misteriosa e mostruosa può anche essere interpretata da un uomo. La sua non è una tragedia della femminilità, ma della diversità.
“Io non interpreto una donna, sono nei panni di un uomo che recita una parte femminile, è molto diverso. Medea è un mito: rappresenta la ferocia della forza distruttrice. Rimettiamoci nei panni del pubblico greco: vedendo la tragedia, saprà che arriverà ad Atene una forza che si accanisce sulle nuove generazioni, i suoi figli: 'Medea dallo sguardo di toro', come viene definita all'inizio. Lei è una smisurata, dotata di un potere sinistro.
Che usa la femminilità come maschera, per commettere una serie mostruosa di delitti: non è un caso che la prima a cadere sia una donna, la regina, la nuova sposa di Giasone”.
Fanco Branciaroli
Note di regia per il riallestimento di “Medea”
In questo riallestimento di Medea, assolutamente filologico, ho voluto riproporre nei dettagli la regia di Luca Ronconi, senza nessuna intromissione e nessuna aggiunta o sottrazione, ritrovando l’itinerario già percorso da Luca. Franco Branciaroli in questo lavoro raggiunge vette di elaborazione interpretativa assolutamente incredibili. La sua è una Medea donna /uomo/mostro proteiforme, indecifrabile, ambiguo, misterioso, violento, dolcissimo, clamoroso. Il lavoro con tutto il nuovo cast è stato davvero appassionante ed entusiasmante. L’opposizione tra il mondo di Medea, arcaico, violento, eroico, estremo e passionale e il mondo di Corinto, moderno, squallido, grigio e deprimente, un mondo governato dal denaro e dalla convenienza, regno dei più furbi, di chi vanta amicizie più importanti, di chi tradisce, è alla base dell’antitesi Medea / Giasone. Sono due universi che si scontrano, due visioni del mondo completamente diverse: uno scontro clamoroso tra Oriente ed Occidente, tra maschile e femminile (e tra maschile e maschile). Medea, “la straniera”, “la diversa”, è arrivata via mare, ha lasciato la patria, oltrepassato “le duplici rocce dello stretto di mare”, si ritrova in terra straniera, ha perso il suo uomo, il suo letto e ora viene cacciata con ignominia dal Paese che l’aveva accolta. Inutile fare facili parallelismi con gli eventi a cui assistiamo ogni giorno nei nostri tempi. Nel lavoro quotidiano di Ronconi il testo veniva ribaltato, rigirato, consumato, divorato, masticato e rigettato, per poi ritornare alla sua essenza. E Luca non si fermava mai. La sua era una ricerca incessante. Ogni giorno cambiava continuamente accentazioni, ritmi ed intenzioni. Dal primo giorno di prove sino alla prova generale. Il risultato finale era il frutto di queste migliaia e migliaia di variazioni quotidiane, una sorta di puzzle, di grande affresco linguistico in cui venivano esperite tutte le possibilità del testo. E il linguaggio diventava poi spazio, macchina testuale visiva. Come in questa straordinaria Medea. Lo spazio veniva re-inventato continuamente e tutto ciò che si vedeva in scena veniva direttamente e assolutamente dal testo e dalle sue radici. Non c’era mai nulla di sovrapposto o di arbitrario. La recitazione realistica – la “verità” o la cosiddetta “naturalezza” - veniva considerata come un condizionamento percettivo, un condizionamento culturale in cui il pubblico dei nostri giorni è totalmente immerso, in modo assolutamente convenzionale, per via della televisione, del cinema e dei mezzi di comunicazione di massa. Luca detestava tutto ciò che oggi viene definito “performativo”. Lo giudicava arbitrario, datato e scolastico. Parlava spesso di cliché teatrali e di come certa critica italiana fosse affezionata a quei cliché che riportavano la memoria agli esperimenti degli anni ’70, che lui giudicava ampiamente superati. Non erano ammesse interpolazioni, “belle idee del regista”, “improvvisazioni”, “trovate” o idee dimostrative, tutto veniva dal cuore del testo, dal centro analitico dell’opera. Si trattava di un colloquio segreto e intimo con l’autore. L’autore era il solo, unico, vero regista. Certo poteva anche essere tradito o superato, ma mai ignorato o giudicato inutile: il testo non era mai utilizzato come pretesto. Come in questa versione di Medea.
Questo spettacolo fu allestito vent’anni fa ma pare davvero che tratti di temi odierni. Nel suo lavoro Luca parlava molto spesso del tempo e della sua percezione relativa e soggettiva. Sognava uno spettacolo infinito, dalla durata infinita e il suo rapporto con il tempo e la finitezza umana era complesso e quotidiano. Diciamo pure che quest’uomo dialogava assiduamente con la quarta dimensione e che la morte, così presente nel suo teatro e nella sua vita, diveniva oggetto di studio e di sfida quotidiana. Il suo pensiero era proiettato in avanti. Era uno scienziato del linguaggio, uno degli ultimi sognatori. E si faceva beffe dei cliché, dei pensieri precostituiti, delle profonde convinzioni assodate e certificate. Preferiva perseguire l’utopia, sfidare il tempo e lo spazio, percorrere sentieri inesplorati. Il teatro non era una semplice passione o un amore. Coincideva esattamente con la sua vita e ne modificava la quotidianità. Luca era un uomo del futuro. Un esploratore dell’ignoto. E ogni giorno ci manca immensamente.
Daniele Salvo
Biglietti dai 18,5 ai 26,5 euro. Per informazioni www.ilmaggioreverbania.it