Metti una sera al cinema - Fai bei sogni
Il Cinecircolo Socio Culturale Don Bosco, martedì 21 febbraio 2017, per la rassegna "Metti una sera al Cinema", presso Il Maggiore doppia proiezione ore 17:30 e 20:30 di "Fai bei sogni".
👤 Redazione ⌚ 20 Febbraio 2017 - 09:16 Commentaa-
+
Un film di Marco Bellocchio. Con Valerio Mastandrea, Bérénice Bejo, Guido Caprino, Nicolò Cabras, Dario Dal Pero. Barbara Ronchi, Fabrizio Gifuni, Linda Messerklinger, Miriam Leone Drammatico, durata 134 min. - Italia, Francia 2016. - 01 Distribution
Marco Bellocchio traspone il bestseller di Gramellini e accetta con umiltà il ruolo di narratore accessibile a grandi e piccini
A nove anni Massimo perde la mamma per un infarto improvviso - o almeno così gli dicono i parenti, riluttanti a renderlo partecipe della morte della donna. Dopo un'infanzia solitaria e un'adolescenza difficile Massimo diventa un giornalista affermato ma continua a convivere con il ricordo lacerante della madre scomparsa, nonché con un senso di mistero circa la sua improvvisa dipartita. Solo alla fine scoprirà come sono andate esattamente le cose, e troverà il modo di risalire alla luce.
Marco Bellocchio si cimenta con uno dei più grandi successi editoriali degli ultimi anni, il romanzo autobiografico "Fai bei sogni" scritto da Massimo Gramellini, giornalista de La Stampa. Come molto del cinema di Bellocchio, Fai bei sogni narra la storia di un'assenza: un sorriso negato, una porta chiusa con tanto di catenaccio, la rinuncia alla cura da parte di chi vi è preposto, la nostalgia bruciante di quella accoglienza assoluta e inesauribile che una madre dovrebbe (poter) dare ad un figlio amato.
Fai bei sogni, il libro come il film, è imbevuto di un rimpianto inconsolabile, e se il romanzo di Gramellini era strutturato come una sorta di detective story, il film di Bellocchio è un horror in cui Nosferatu e Belfagor sono i migliori alleati del piccolo Massimo, mentre i nemici indossano una maschera sociale spaventosa per non dover dire la verità ad un bambino: in assoluto, l'atto di coraggio più grande.
L'atto di coraggio principale di Bellocchio è invece quello di prendere il testo di Gramellini, sceneggiato dal regista insieme ad Edoardo Albinati e Valia Santella, nella sua accezione (e il suo valore) di narrazione popolare equivalente a quella delle canzonette che da sempre catturano l'essenza dell'Italietta, più dei saggi di antropologia culturale. Bellocchio, capace di vertiginose astrazioni e di altissimi afflati filosofici, racconta la storia di un salto nel vuoto attraverso i tuffi di Cagnotto e la caduta dell'aereo del Grande Torino sopra la collina di Superga, non mettendosi mai al di sopra di quelle "ovvietà che sconvolgono" e che sono la forza primordiale del romanzo di Gramellini perché parlano a tutti accantonando il comune senso del pudore (ma anche la spocchia da intellettuale) come si fa quando ci si scioglie nel ballo, rendendosi ridicoli e irresistibili nello stesso magico e imbarazzante istante. Le raffinate musiche di Carlo Crivelli sottolineano invece la presenza costante di un battito nascosto che viaggia in direzione contraria rispetto alla melodia di facciata, irrazionale e ingestibile come un attacco di panico, rivelatore di una verità che nessuna glassa superficiale può tenere nascosta.
Il contesto è quello della Torino dei tardi anni '60 e poi di fine anni '90, ugualmente caratterizzate da quella "falsa cortesia" e quell'abitudine a "negare, negare tutto" che sono imposizioni sociali ma anche scelte di vita. Un'Italia perbenista e perbene in cui circolano i finanzieri senza scrupoli dalla straniante enunciazione bellocchiana (attraverso la magnifica voce impostata di Fabrizio Gifuni), o i preti che insegnano astronomia riconducendo i loro alunni più inquisitivi al mistero della Fede. Sono loro le uniche eccezioni metaforiche ad una galleria di personaggi più quotidiani e reali di quelli cui Bellocchio ci ha abituato, senza sottotesti metafisici ma con segreti da nascondere prima di tutto a se stessi.
In questa favola nera dove non si sa dove siano finiti i bambini e dove nascondino diventa (come in fondo è sempre stato) un gioco crudele di sottrazione dell'affidabile e del certo, in questo non luogo dove tutti sono orfani e Pollicino non trova più la strada nemmeno se rimane inchiodato al lettino di casa, si diventa grandi "nonostante" le assenze e le disillusioni. Bellocchio accetta con umiltà il suo ruolo di narratore accessibile a grandi e piccini, correndo il rischio di incontrare quel seguito popolare che tormenta Gramellini da quando ha messo da parte la vergogna per permettere a milioni di lettori di fargli tana.
Paola Casella
Leggi QUI il post completo