PsicoNews: Autorità e obbedienza
Un esperimento classico della psicologia ci porta a scoprire quanta influenza l’autorità abbia su di noi, anche quando è dissonante rispetto alla nostra coscienza. L’influenza sociale può essere più forte della coscienza?
👤 Dott.ssa Mara Rongo ⌚ 28 Settembre 2016 - 08:00 Commentaa-
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Cosa succede quando gli ordini provenienti da figure che hanno una qualche autorità nei nostri confronti sono in conflitto con i nostri valori? Un quesito del genere se lo pose, nel 1963, lo psicologo Stanley Milgram, in un classico esperimento, volto a valutare quanto effettivamente siamo disposti ad obbedire all’autorità.
Per l’esperimento, Milgram reclutò dei volontari, ai quali raccontò che l’obiettivo del suo esperimento era verificare gli effetti della punizione sulla capacità di apprendere; ovviamente non era vero, ma serviva a sviare i soggetti dal reale obiettivo, affinchè non falsassero l’esito. L’esperimento venne condotto all’interno dell’Università Yale, questo vedremo più avanti, fu una variabile cruciale per i risultati ottenuti.
A ogni volontario (da qui in avanti lo chiameremo volontario uno) venivano presentate due persone, lo sperimentatore e un altro “volontario” (in realtà sperimentatore e secondo volontario erano complici tra loro, ma questo il volontario uno non lo sapeva); veniva detto ai due volontari che avrebbero ricoperto due ruoli: il volontario uno (vero soggetto dell’esperimento) avrebbe fatto l’insegnante, il volontario due (il complice dell’esperimento) avrebbe fatto l’allievo.
Accompagnati entrambi all’interno di una stanza, l’allievo veniva fatto sedere e legato a una sedia, poi venivano applicati sulla sua pelle degli elettrodi; in seguito, il volontario uno, l’insegnante, veniva condotto in un’altra stanza, dalla quale poteva sentire parlare l’allievo ma non poteva vederlo. L’insegnante era fatto accomodare di fronte a un generatore elettrico, dotato di leve, le quali erano etichettate con diciture che andavano da “choc debole” a “choc pericoloso”; premendo tali leve, l’insegnante avrebbe potuto somministrare all’allievo delle scariche elettriche.
La richiesta fatta dallo sperimentatore al volontario/insegnante era quella di punire l’allievo/volontario, ogni volta in cui sbagliava un compito di apprendimento, di crescente difficoltà, nel quale era necessario imparare coppie di parole. All’inizio dell’esperimento all’insegnante veniva somministrata una scarica da 45 volt per far capire lui cosa avrebbe provato l’allievo e veniva aggiunto che, nonostante il dolore provocato, le scosse non avrebbero causato danni permanenti.
In realtà, durante l’esperimento, le scariche elettriche non venivano realmente somministrate all’allievo, ma il volontario/insegnante non lo sapeva, il volontario/allievo doveva fingere lamentandosi e manifestando sofferenza sempre crescente fino a quando, alla scossa da 300 volt, non avrebbe più dovuto rispondere a nulla, fingendosi svenuto.
A esperimento iniziato, ogni volta in cui l’insegnante mostrava delle perplessità rispetto al prosieguo dell’esperimento, lo sperimentatore ordinava lui di proseguire e che la responsabilità non era sua.
Il 62% dei volontari/insegnanti, su un campione di 40 uomini tra i 20 e i 50 anni, proseguì l’esperimento, piegandosi all’autorità e sottoponendo l’allievo alle scariche massime, quelle etichettate come “choc pericoloso”, nonostante in molti manifestassero perplessità. L’esperimento venne ripetuto inserendo delle variabili per spiegare cosa influenzasse maggiormente la tendenza ad obbedire all’autorità, nonostante la dissonanza con la propria coscienza.
Di seguito le variabili testate:
La vicinanza della vittima: più la vittima era vicina, più l’insegnante tendeva a interrompere l’esperimento;
La vicinanza dell’autorità: più lo sperimentatore era lontano, minore era la sottomissione alla sua autorità;
La legittimità dell’autorità: il fatto che l’esperimento fosse promosso dall’Università di Yale era un fattore che faceva aumentare la tendenza all’obbedienza; quando l’esperimento veniva svolto presso aziende private ad esempio, diminuiva il potere dell’autorità; anche lo scopo influenzava l’obbedienza, quando veniva detto ai soggetti che la ricerca rientrava in un ambito commerciale allora l’obbedienza all’autorità era inferiore, rispetto allo scopo, ritenuto più elevato, di conoscenza.
Lo scaricare la responsabilità su altri soggetti: la sottomissione era maggiore quando lo sperimentatore diceva che si sarebbe assunto tutta la responsabilità per quello che sarebbe potuto accadere alle vittime.
L’esperimento, in forme diverse, è stato ripreso spesso, anche da diversi studiosi, dando purtroppo sempre gli stessi risultati. Altro fattore, su cui Milgram pose attenzione, nella riflessione sui risultati, fu quello secondo il quale a nessun soggetto venne mai detto che l’interruzione dell’esperimento avrebbe comportato una qualche forma di punizione.
Questo esperimento nasceva dalla necessità di svelare come fosse stato possibile lo sterminio di tante persone, durante la seconda guerra mondiale, poiché molti dei generali nazisti, durante i processi, a cui furono sottoposti, ammisero di non sentirsi i reali colpevoli di tale crimine, poiché stavano semplicemente eseguendo degli ordini.
Buona settimana
Mara Rongo
Fonti:
“Strategie della scelta” di A. Oliverio, ed Laterza, il Sole 24 Ore, 2010
Milgram S. (1974), “ Obedience to authority. An experimental view”, Harper & Row, New York.
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