Cinghiali radioattivi: Chernobyl o mafia?
Riportiamo da un blog, una teoria sul possibile riciclaggio di materiali radioattivi che potrebbero aver contaminato i cinghiali, forse un poco complottistica, ma come diceva qualcuno, a pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina.
👤 WebMaster ⌚ 2 Ottobre 2013 - 10:23 2 commentia-
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Oltre che nelle valli Sesia ed Ossola, i cinghiali radioattivi adesso sono anche nel Canton Ticino: il 6% di quelli abbattuti dai cacciatori è stato confiscato perchè la radioattività superava i 1.250 B ecquerel per chilogrammo. In Piemonte il Tar non ha consentito il regolare inizio della caccia per via dei pasticci combinati dalla Regione, dunque i dati sono fermi al vecchio record di 5.621 Becquerel al chilo. Visto che gli animali contengono Cesio 137, tutti dicono che sono le conseguenze di Chernobyl: dopo 27 anni.
Non ne sarei così sicura: non risultano cinghiali radioattivi in Lombardia e nella Svizzera francese, cioè nelle immediate vicinanze del Ticino, della Sesia e dell’Ossola (vedi cartina). Soprattutto, nessuno ha mai fatto ai cinghiali ticinesi e piemontesi cinghiali l’esame per cercare l’”impronta digitale” della radioattività di Chernobyl. E così io dico: potrebbe essere Chernobyl, potrebbe essere qualsiasi altra cosa. La mafia dei rottami metallici radioattivi “smaltiti” mandandoli ad ignare fonderie, ad esempio.
Mi riferisco ad eventi tipo quello di Revello Porro (Como): nel 1998 una sorgente radioattiva stimata fra il 4% e il 40% delle ricadute globali di Chernobyl in Italia è stata fusa insieme al metallo con cui venivano forgiati i telai dell’Alfa 33.
Ad occhio e croce, i cinghiali piemontesi e ticinesi non sono radioattivi a causa di Revello Porro: altrimenti dovrebbero essere innanzitutto radioattivi i cinghiali comaschi, e non lo sono. Ma Revello Porro non fu l’unico incidente del genere: un’altra nube radioattiva si levò dall’acciaieria spagnola Acerinox, sempre nel 1998 e sempre a causa dell’inavvertita fusione di una sorgente di radioattività. Su un blog personale ho trovato traccia di un analogo evento che sarebbe avvenuto nel 2004 all’acciaieria AFB Beltrame di Vicenza: metto il condizionale perchè sono in condizione di linkare ma non di verificare. Una rapidissima ricerca su internet frutta anche rottami radioattivi finiti alle Acciaierie Venete di Sarezzo nel 2007, addirittura schermati con piombo per ingannare i contatori Geiger.
Non sono, ovviamente, in grado di affermare che i cinghiali piemontesi e ticinesi siano radioattivi a causa di un evento del genere, noto o magari anche ignoto. Tutti questi rottami erano contaminati da Cesio 137 – esattamente come i cinghiali – ma gli elementi radioattivi non viaggiano da soli.
Chernobyl non rilasciò solo Cesio 137. Anche Cesio 134, ad esempio. L’ “impronta digitale” della radioattività di Chernobyl è ben nota e consiste nel rateo, nel rapporto fra la quantità di Cesio 137 e la quantità di Cesio 134. Tenendo conto dei tempi di decadimento naturale, ora nella radioattività di Chernobyl il Cesio 137 dovrebbe essere di circa 9.000 volte superiore al Cesio 134. Non è noto il rateo di Revello Porro, si sa solo che la quantità di Cesio 134 era inferiore rispetto a Chernobyl. Per gli altri incidenti noti relativi a fusione di rottami radioattivi, le Arpa che hanno fatto le analisi conoscono, o dovrebbero conoscere, il rateo fra Cesio 137 e Cesio 134, nonchè quali altri elementi radioattivi erano presenti e in quale rapporto quantitativo stavano fra loro.
Basterebbe misurare nei cinghiali radioattivi anche il Cesio 134, oltre al Cesio 137, per capire se costituiscono un’eredità di Chernoby: peraltro in vari luoghi le eredità di Chernobyl vanno spegnendosi. I cinghiali radioattivi tedeschi sono sempre di meno (mi sono affidata a San Google Traduttore, chiedo l’aiuto dei commentatori), come pure sono sempre di meno le pecore radioattive norvegesi: eppure la Scandinavia ricevette moltissima radioattività da Chernobyl. Può darsi benissimo che i cinghiali piemontesi e ticinesi risentano ancora pesantemente di Chernobyl, ma può darsi anche di no: e in questo caso sarebbe bene risalire possibilmente alla fonte della radioattività e soprattutto appurare se, e come, la radioattività si è ulteriormente diffusa nella catena alimentare. Leggi QUI il post completo