LegalNews: Locazione abitativa e forma della risoluzione consensuale
La Suprema Corte, con la sentenza n. 7638/2016, è tornata sulla questione della forma della risoluzione consensuale del contratto di locazione abitativa, confermando il proprio orientamento.
Nel caso in esame il conduttore di un immobile si era opposto al decreto ingiuntivo ottenuto dal locatore del medesimo bene a fronte del mancato pagamento dei canoni di locazione pattuiti nel contratto, in quanto affermava che il contratto era stato in precedenza sciolto consensualmente dalle parti; il Tribunale accoglieva l’opposizione in primo grado e la Corte d’appello confermava la decisione. Il locatore ricorreva quindi per cassazione per ottenere le riforma della sentenza.
Come noto, ai sensi dell’art. 1372 c.c. il contratto ha effetto di legge tra le parti e può essere sciolto da esse solo per le cause ammesse dalla legge oppure per mutuo consenso. La questione giuridica esaminata dalla Corte, rimanendo nel solco del proprio orientamento, è la seguente: partendo dal presupposto che il contratto di locazione ad uso abitativo, ai sensi dell’art. 1 co. IV della L. n. 431/1998, richiede a pena di nullità la forma scritta, è necessario accertare la validità del suo scioglimento per mutuo consenso non manifestato con la medesima forma, bensì esclusivamente per mezzo dei c.d. comportamenti concludenti. Questi ultimi possono essere definiti come la condotta della parti dalla quale inequivocabilmente si può desumere la loro volontà, senza però che esse l’abbiano espressamente manifestata.
La Suprema Corte ha rilevato che è assolutamente pacifico nella giurisprudenza della Cassazione il principio per cui, in caso di contratti per la cui valida stipulazione è richiesta per legge la forma scritta a pena di nullità, il mutuo dissenso deve rivestire la medesima forma: tale requisito può considerarsi soddisfatto solamente in presenza di un documento contenente la espressa e specifica dichiarazione negoziale delle parti.
Avv. Mattia Tacchini
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