PsicoNews: Gli effetti della felicità

La felicità sembrerebbe riuscire a adattarci meglio alle situazioni, grazie all’attivazione di creatività, comportamento prosociale, pianificazione di obiettivi e altro.

  
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È impossibile riuscire a restare concentrata sul piccolo schermo del notebook davanti ai miei occhi, lo sguardo continua a correre alla finestra, dalla quale si vedono il cielo terso e il sole, che risplende; che dire: è primavera! E per quanto mi riguarda, io non vedevo l’ora, uscire senza giacca e calze e godersi il sole. Insomma sto bene. Ma capita solo a me o anche alle altre persone?

La difficoltà nel definire felicità e benessere risiede nel fatto che si tratta di termini con forte connotazione culturale e psicologica. Ciò che è buono e desiderabile dipende e cambia per ogni individuo e per ogni gruppo sociale.
Felicità e benessere si declinano in vario modo secondo l’epoca, del sistema di valori, dell’ambiente, ma anche in funzione di specifiche circostanze individuali, di condizioni psicologiche transitorie. Ogni comportamento umano, che sia collettivo o individuale persegue però il raggiungimento di benessere e felicità.

Secondo due autori, che possiamo considerare esponenti della branca della psicologia positiva, Kahneman e Riis, si evidenzia la necessità di distinguere due dimensioni della felicità: quella esperienziale e quella valutativa. Nel post di oggi vorrei parlare della felicità esperienziale, come quella che provo io oggi, nel prossimo di quella valutativa.

La dimensione della felicità intesa come esperienziale è in un certo senso più facile da indagare psicologicamente, infatti, tale dimensione può essere studiata sia in laboratorio sia in condizioni naturali. Barbara Fredrickson ha condotto numerose ricerche sulle emozioni positive, usando filmati che ne favorivano l’insorgenza ed evidenziando poi i loro effetti benefici sulle prestazioni cognitive; dai risultati ottenuti nella ricerca, prende avvio la Broaden-and-build theory, teoria di riferimento per la felicità esperienziale, che pone l’accento su come, di fronte a un problema: le emozioni positive ampliano il repertorio cognitivo e comportamentale a disposizione dell’individuo; quest’ampliamento della prospettiva cognitiva nell’immediato conduce, a lungo termine, alla costruzione di un repertorio stabile di risorse psicofisiche e comportamentali, utili per l’adattamento efficace all’ambiente.

In particolare, Fredrickson è riuscita a dimostrare che le emozioni positive facilitano la mobilizzazione delle risorse personali, la pianificazione di obiettivi, e l’investimento di energie per perseguirli; promuovono inoltre la flessibilità di pensiero e la creatività, nonché il comportamento pro sociale e di aiuto.

In poche parole è come se la felicità sperimentata individualmente, nel lungo periodo, ci permettesse di aumentare il nostro “bagaglio” di risposte, utili per adattarci all’ambiente in cui viviamo e stare, di conseguenza, meglio.
Felicità crea felicità, alla fine.

E voi? Vi è mai capitato di riuscire a risolvere una situazione poiché dell’umore giusto?

Buona settimana
Mara Rongo
Fonti:
Gian Franco Goldwurm e Federico Colombo ( a cura di), “Psicologia Positiva”, Ed. Erickson, 2012.
Fredrickson B.L. (1998), “What good are positive emotions”, Review of General Psychology, vol. 2, pp. 300-319.
Fredrickson B.L. (2001), “The role of positive emotions in positive psychology: The Broaden-and-build theory of positive emotions”, American Psychologist, vol. 56, pp. 218-226.
Kanheman D. e Riis J. (2005), „Living and thinking about it: Two perspectives on life“, in F. Huppert, B. Keverne e N. Baylis (a cura di), The science of Well-being, Oxford, Oxford University Press, pp. 285-306.
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