Registro testamento biologico: "Lettera aperta per la vita"
Riceviamo e pubblichiamo, una lettera aperta, indirizzata all'Amministrazione di Verbania, da alcuni cittadini verbanesi a sostegno della vita, in occasione della discussione sulla creazione del registro del testamento biologico a Verbania.
👤 Redazione ⌚ 21 Febbraio 2016 - 08:01 14 commentia-
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Siamo un gruppo di cittadini verbanesi, molti dei quali impegnati nel sociale, di provenienza politica variegata ma uniti dalla preoccupazione rispetto all'introduzione a Verbania di un registro del testamento biologico.
Quella che viene messa in discussione è l’indisponibilità della vita umana, principio cardine del diritto naturale, sicuramente alla base della morale cattolica e di altre religioni, ma riconosciuto da laicissimi cultori del diritto e insigni filosofi. Ricordiamo come l'ex Presidente della Corte Costituzionale Gustavo Zagrebelsky ebbe a riconoscere come il nostro ordinamento giuridico sia ispirato, nel suo complesso, al principio di “indisponibilità della vita” (Repubblica 19/03/2007).
L’agnostico Immanuel Kant scrisse: “L’uomo non può disporre di sé stesso, poiché non è una cosa […] egli è una persona, il che differisce da una proprietà, perciò egli non è una cosa, di cui possa rivendicare il possesso, perché è impossibile essere assieme una cosa e una persona, facendo coincidere il proprietario con la proprietà. In base a ciò l’uomo non può disporre di sé stesso” (Lezioni di etica, Laterza, Roma-Bari, 1971, p.189).
Questi aspetti erano già stati colti, millenni fa, da Aristotele, per il quale il suicida, ovvero colui che più di tutti calpesta ed umilia il principio di indisponibilità della vita, è una persona che commette ben due ingiustizie. La prima contro sé stesso, in quanto il suicidio rappresenta un affronto alla ragione e all’inclinazione naturale ad amare se stessi. La seconda contro la comunità entro la quale è cresciuto, e verso la quale è legato da un vincolo di riconoscenza e di mutuo aiuto (Cfr. Etica nicomachea, III, 116 a).
Spostiamo l'attenzione sui temi che dovrebbero essere al centro dell'interesse della politica e dell'impegno civile, cioè le reali priorità del paziente: assistenza sanitaria, efficienza delle strutture ospedaliere e alleanza terapeutica. Quanti malati, quanti familiari lasciati soli a decidere le cure necessarie per distinguere tra eutanasia e accanimento terapeutico. Quanti casi di accanimento terapeutico, in cui a un certo punto il medico e i familiari, riconoscendo che quella vita sarebbe dovuta terminare naturalmente tempo prima, si pentono per le terapie inutili messe in atto. Quanta difficoltà non soltanto nel trovare ma nel sapere che c'è bisogno di un medico che ti affianchi in
scelte che sono diverse da caso a caso e non si possono affrontare da soli.
Quali sono le motivazioni che stanno veramente alla base della rivendicazione del diritto di porre fine alla propria vita?
Dove sussiste una consolidata alleanza terapeutica supportata da terapie all’avanguardia, la richiesta di morte riguarda quasi esclusivamente persone che vivono uno stato di depressione. Noi diffidiamo da chi, strumentalizzando il dolore di chi soffre veramente, tenta di farci credere che le urgenze del sistema sanitario italiano siano il testamento biologico o la richiesta di morire.
La vera sfida è quella di garantire a ciascun paziente un’assistenza adatta tanto sul piano terapeutico quanto su quello umano. Solo così si potrà arrestare il diffondersi di disperate richieste di morte, tutelando la dignità di ciascun paziente e allontanandolo dalla tentazione di violare l’indisponibilità della vita e dall’illusione che la morte, a certe condizioni, possa essere una via d’uscita.
Un grande interrogativo morale che sorge spontaneo è relativo allo stato in cui si redigono le dichiarazioni anticipate di trattamento. Infatti coloro che le scrivono da sani, non essendo in punto di morte, non si rendono conto di ciò che stanno decidendo. Quando si sta per morire ci si sente più attaccati alla vita. L’eutanasia è la tentazione dei sani. E’ emblematica la storia di Sylvie Ménard, allieva di Umberto Veronesi, in passato responsabile di un reparto dell’Istituto di tumori di Milano ed in prima linea nella battaglia per la legalizzazione dell’eutanasia. In seguito all’insorgere di un cancro, però cambiò del tutto la sua volontà :”Adesso che per me la morte non è più un concetto virtuale non ho nessuna voglia di andarmene(…).
Anche se concluderò la mia vita in un letto con le ossa che rischiano di sbriciolarsi, io ora voglio vivere fino in fondo la mia esistenza”. Disse inoltre “Da sana l’avrei sottoscritto (Il testamento biologico, ndr), ora l’avrei voluto stracciare”
Immaginiamo che situazione terribile quella di chi non fosse più in grado di comunicare il cambiamento di volontà.
Quando invece il soggetto è già affetto dalla patologia, si va incontro ad un’altra difficoltà, in quanto da malati si è fortemente condizionati dalla sofferenza e dalla paura e non si può scegliere lucidamente il proprio bene. Ezekiel Emanuel, bioeticista di Harvard, pubblicò sulla rivista Jama del 2000 le sue ricerche su 988 malati terminali. Di questi solo il 10% era inizialmente favorevole all’eutanasia per se stesso. Dopo qualche mese la metà di tale 10% aveva già cambiato idea e alla fine dell’indagine, solo uno dei 988 malati terminali era morto per suicidio assistito. E questo non
era tra quelli che inizialmente desideravano l’eutanasia: ecco un altro che, seppure in negativo, aveva cambiato volontà.
Sarebbe lodevole una legge che tutelasse davvero la vita nel momento della sua fine, promuovendo le cure palliative e il sostegno alle famiglie dei malati. E’ necessario recuperare il rispetto della dignità della persona, che rimane tale anche in situazioni di così grande precarietà, quando non è più in grado né di intendere né di volere. Non cadiamo nell’inganno del finto pietismo e non facciamo il gioco di una società che fa di tutto per abbandonare a se stessi e alla morte i malati, perché non vuole farsi carico dei più deboli.
Torniamo a conferire dignità e valore al malato:
nessuno, quando si sente amato e voluto, chiede di morire.
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