LegalNews: Pignoramento del quinto dello stipendio: la Consulta conferma il proprio orientamento

La Corte Costituzionale con la recente Sentenza n. 248 del 03 dicembre 2015 è tornata ad esaminare l’annosa questione della costituzionalità delle previsione della pignorabilità del quinto dello stipendio del lavoratore che lo riduce al di sotto della soglia necessaria alle sue esigenze di vita.

  
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Come noto, l’art. 545 co. IV c.p.c. prevede che lo stipendio di un lavoratore può essere pignorato – per un credito erariale oppure per qualsiasi altro credito - entro il limite del quinto (salvo eccezioni); ai sensi del co. V del medesimo articolo, nel caso in cui concorrano più crediti in forza del quale lo stipendio viene pignorato, si può arrivare sino alla metà della somma percepita dal lavoratore.

Il giudice dell’esecuzione del tribunale di Viterbo, al quale era stato sottoposto il caso di un pignoramento a carico di una lavoratrice part-time di un supermercato che percepiva mensilmente la somma di € 474, ha ritenuto di sollevare a questione di legittimità costituzionale dell’art. 545 c.p.c. nella parte in cui non prevede una limitazione della pignorabilità del quinto dello stipendio che eviti al lavoratore di percepire una somma inferiore a quella minima necessaria a garantire un’esistenza dignitosa.

E’ necessario premettere che l’orientamento della Corte Costituzionale – veicolato con diverse pronunce nel corso degli ultimi decenni – ha sempre affermato che lo scopo dell'art. 545 c.p.c. è quello di contemperare la protezione del credito con l'esigenza del lavoratore di avere, attraverso una retribuzione congrua, un'esistenza libera e dignitosa. A ciò consegue che la facoltà di escutere il debitore non può essere sacrificata totalmente, anche se la privazione di una parte del salario è un sacrificio che può essere molto gravoso per il lavoratore scarsamente retribuito; d’altra parte, la scelta del criterio di limitazione della pignorabilità e l'entità di detta limitazione rientrano, per costante orientamento della Corte, nel potere costituzionalmente insindacabile del Legislatore.

Ciò premesso, i l Tribunale di Viterbo ha ritenuto che la norma citata non garantirebbe che lo stipendio del lavoratore sia destinato al soddisfacimento delle esigenze primarie di sopravvivenza proprie e della propria famiglia e violerebbe la dignità del lavoro come inteso nella Costituzione repubblicana, in quanto non sarebbe idoneo ad assicurare un'esistenza libera e dignitosa. Inoltre, i principi di uguaglianza e di ragionevolezza risulterebbero violati poiché, nel caso di stipendi esigui, la previsione contenuta nell'art. 545 co. IV c.p.c. non costituirebbe un razionale contemperamento dell'interesse del creditore con quello del lavoratore esecutato.

La Corte Costituzionale, rimanendo nel solco del proprio orientamento, ha ritenuto di non discostarsi dallo stesso, rigettando la questione di legittimità costituzionale e confermando l’art. 545 c.p.c..

Avv. Mattia Tacchini Leggi QUI il post completo