Fibrillazione Atriale nel Vco
È ormai dimostrato che la Fibrillazione Atriale è causa del 15% di tutti gli ictus cardioembolici. Ciò significa che in Italia dei 200.000 casi di ictus stimati all’anno, 30.000 sono determinati da questa frequente anomalia del ritmo cardiaco, la cui prevalenza è stimata intorno al 2% della popolazione generale.
👤 Redazione ⌚ 27 Luglio 2015 - 09:02 1 commentoa-
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La Fibrillazione Atriale comporta un incremento del rischio di ictus di almeno 5 volte. Ma non solo: quando un episodio ischemico è secondario ad essa può essere spesso mortale, o estremamente invalidante. Purtroppo questa aritmia è spesso “silente” e il suo riscontro occasionale, quasi sempre nel corso di una visita specialistica.
Per esercitare misure preventive adeguate, l’elemento cruciale diventa l’applicazione di un’efficace regime terapeutico, attraverso una terapia anticoagulante. Tuttavia, in Italia si registra un sottotrattamento dei pazienti affetti da Fibrillazione Atriale, dovuto principalmente ai limiti della profilassi farmacologica finora utilizzata (antagonisti della vitamina K), che presenta alcune difficoltà di gestione, come la necessità di frequenti controlli ematologici per l’aggiustamento del dosaggio, data l’alta variabilità di risposta inter-individuale. Senza dimenticare, poi, un’altra criticità che riguarda l’interazione con altri farmaci o con alcuni alimenti, che ne variano l’assorbimento. Per tutti questi motivi, tali farmaci non vengono usati con regolarità o vengono troppo spesso abbandonati dai pazienti.
“In questo caso è emblematica la situazione della Provincia del Verbano-Cusio-Ossola che su una popolazione di 160.000 abitanti, il 25% ha più di 65 anni e deve confrontarsi con le problematiche connesse all’età, quali le numerose comorbidità e le difficoltà di movimento - dichiara il Dottor Federico Nardi, cardiologo presso l’Ospedale di Verbania e Segretario Generale ANMCO, Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri -. Il territorio della provincia presenta, infatti, morfologicamente difficoltà logistiche connesse al raggiungimento dei centri sanitari, per sottoporsi ad un semplice controllo di INR, necessario per conoscere il grado di anticoagulazione raggiunto e per ottimizzare il dosaggio del farmaco. Non dimentichiamoci, poi, il tipo di alimentazione caratteristica di questi luoghi a base, soprattutto, di ortaggi che frequentemente alterano la farmacocinetica e la farmacodinamica degli antagonisti della vitamina K”.
“A tutto ciò - continua il dottor Nardi - dobbiamo aggiungere che, nonostante, molti studi dimostrino l’efficacia nella prevenzione primaria e secondaria degli eventi tromboembolici nei pazienti affetti da Fibrillazione Atriale, la prescrizione di una terapia anticoagulante orale non raggiunge la globalità della popolazione interessata al trattamento per l’aumento del rischio di emorragie, prevalentemente nei pazienti anziani, cosiddetti “fragili”. Tale affermazione, oltre che dalla quotidiana osservazione clinica, trae forza dai dati dello studio ATA-AF (AntiThrombotic Agents Atrial Fibrillation), realizzato dall’Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri (ANMCO) e dalla Federazione delle Associazioni dei Dirigenti Ospedalieri Internisti (FADOI), che nel 2010 ha arruolato pazienti con Fibrillazione Atriale afferiti ai reparti di cardiologia e di medicina interna italiani. Da tale studio emerge che a solo il 58% circa dei pazienti con Fibrillazione Atriale è stata prescritta l’anticoagulazione orale”.
Tuttavia, questi limiti oggi possono essere superati grazie all’introduzione nella pratica clinica di una nuova classe di farmaci, i Nuovi Anticoagulanti Orali, più maneggevoli e sicuri, che non richiedono frequenti controlli ematologici per l’aggiustamento del dosaggio, non hanno interazioni con i cibi e solo alcune, limitate, con altri farmaci.
“L’arrivo e la diffusione dei Nuovi Anticoagulanti Orali - conclude Nardi - ha rappresentato una sorta di rivoluzione nell’approccio alla prevenzione tromboembolica dei pazienti affetti da Fibrillazione Atriale Non Valvolare. Infatti, hanno il vantaggio della sicurezza nell’assunzione di un dosaggio fisso senza dover ricorrere a frequenti spostamenti verso l’ospedale per effettuare il dosaggio dell’INR, vantaggio apprezzato in particolar modo dai molti abitanti delle zone montane della nostra Provincia con una situazione logistica più disagiata.” Leggi QUI il post completo