Una lettera "aperta" da Verbania
"Sono una giovane ragazza di Verbania. Ho scritto una lettera, che definirei ironica e di sfogo, riguardo alla situazione che ha interessato la provincia del VCO in questi ultimi giorni, ovvero la discussione per la chiusura di uno dei due DEA (Domodossola o Verbania) paventata - e ancora in previsione - dalla Regione Piemonte"
👤 Redazione ⌚ 20 Novembre 2014 - 09:15 30 commentia-
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Riceviamo e pubblichiamo questa lettera, ricevuta da una lettrice, senza tagli e aggiunte, come è nostra prassi.
Mi presento brevemente, giusto il minimo indispensabile: sono una studentessa universitaria (e pendolare) verbanese.
Quella che seguirà sarà una riflessione sarcastico-ironica su quanto verificatosi negli ultimi giorni in provincia, una mia piccola Weltanschauung ristretta al VCO.
Premetto che di politica non mi sono mai interessata molto: l'ho sempre trovata un argomento estremamente noioso, e persino ridicolo se riferito all'Italia. Poiché molto spesso chi dovrebbe fare il bene per “la cosa pubblica” finisce, in ogni caso, per fare il bene per una piccola parte della cosa pubblica e gran parte delle proprie tasche.
Sin dai tempi del liceo avevo deciso che la politica proprio non era cosa per me: rifuggivo dibattiti, telegiornali, e mi rifugiavo in un mondo immaginario abitato da ippogrifi e serie televisive americane, sperando un giorno di poter rinascere in California, da una famiglia agiata, che potesse permettersi di pagare l'assicurazione sanitaria.
Arriva però il tempo in cui la piccola liceale deve fare la scelta di cosa vuole fare nella vita. E la piccola liceale sceglie, malauguratamente o fortunatamente, di iscriversi al test di medicina che, caso vuole, passa, accedendo ad una delle facoltà più ambite. Tuttavia, gli anni passati a venerare E.R., Grey's Anatomy e Dottor House e gli ottimi risultati scolastici non sono bastati alla liceale ormai matricola universitaria per amare quel percorso di studi. Insomma, ho capito che non era la mia strada. E grazie al cielo, posso dire adesso col senno di poi. Perché facendo medicina, si ha come la convinzione che si troverà sicuramente un lavoro stabile, con uno stipendio più che dignitoso, e che si troveranno le condizioni adatte per curare i malati come essi davvero meritano. Eppure adesso i miei ex-compagni di corso si trovano in una posizione ben più precaria della mia, che ho scelto di proseguire gli studi in una facoltà umanistica, praticamente un biglietto di sola andata per la precarietà e la disoccupazione. Infatti, coloro che si sono fatti ben 6 anni di una delle facoltà più dure d'Italia adesso potrebbero ritrovarsi senza la possibilità di entrare in specialistica per la mancanza di posti e, in seguito, senza la possibilità di lavorare in reparto, sempre per la mancanza di posti di lavoro e la chiusura di molti presidi ospedalieri. Io, invece, che pensavo di lasciare la strada nota e tracciata per fare un salto nel buio, sono consapevole che di fronte a me troverò tante porte chiuse, ma, mal che vada, mi posso sempre trasferire in un paese in cui almeno esiste un salario minimo garantito, mettendo nella valigia i miei sogni e i miei bei mattoni di letteratura inglese e salutando il Bel Paese alla volta del freddo Nord. Perché no?
Magari a Berlino, chissà. Proprio lì dove 25 anni fa cadeva il Muro. Il Muro. Esatto. Quello che adesso sembra essersi eretto all'imbocco dell'autostrada nei pressi di Gravellona Toce, tra i comuni di Verbania (Fondotoce), Mergozzo e Gravellona. Non vi siete accorti che c'è un muro anche lì? Un muro fatto di campanilismo, miopia, ignoranza e menefreghismo? Io me ne sono accorta in questi giorni. Ho sempre pensato di vivere in un bellissimo territorio, amo profondamente il Lago Maggiore, amo le montagne dell'Ossola, amo i piccoli paesini sopra Omegna. Eppure ho capito come dell'amore per il territorio non gliene freghi niente a QUASI nessuno.
Perché in questi giorni si parla di guerra tra poveri, di pugnalate più o meno alle spalle (a me sembrano pugnalate in pieno petto a dire il vero) tra quelli che un tempo erano confratelli, o per lo meno cugini. Sto parlando, naturalmente, dell'annosa questione dei due DEA a Domodossola e Verbania, una questione che ha spaccato la provincia peggio della Guerra di Secessione Americana. Ora, non sono io di certo la persona adatta a poter fare i conti in tasca alla Regione. Certo so che uno stipendio (e susseguente vitalizio) come quello di un consigliere regionale forse io potrò vederlo giusto nella prossima vita, quando abiterò con la mia famiglia agiata in California e poi sarò ammessa ad Harvard ad un corso di scrittura creativa. In ogni caso, la situazione che si è venuta a creare, con la richiesta da parte della Regione di dover scegliere tra uno dei due DEA, a me è parsa subito una follia.
La prima cosa da tagliare secondo voi è la sanità? Cioè, la sanità? E in un territorio come il nostro dove la superstrada è peggio di uno scolapasta e non c'è un treno diretto per Torino né tanto meno mezzi agevoli per andare a Novara (nostro ex-capoluogo di provincia, tra l'altro)? Dove cadono frane come parmigiano sul risotto? Dove la maggior parte della popolazione è anziana e ha bisogno di assistenza, anche d'urgenza? E dove arrivano – grazie al cielo – milioni di turisti, attirati dalla bellezza del lago, che vedrebbero le loro vite “in pericolo”? (passatemi i toni così accesi, sono ipocondriaca) La cosa che, tuttavia, ho trovato ancora più assurda è che questa scelta doveva ricadere sul territorio, senza però scoprire apertamente le carte tecniche ed i numeri, ovvero i risparmi effettivi, la riorganizzazione, i posti letto, le presenze in ogni ospedale, le strutture di accoglienza etc. diciamo tutte quelle cose che sarebbe carino sapere prima di scegliere, no? Mi sembrava ovvio, così, che ognuno avrebbe tirato l'acqua al suo mulino, o no? No, effettivamente no. Perché i sindaci del Verbano e il consiglio comunale di Verbania hanno avuto il buon senso di sottolineare l'importanza di due DEA in un territorio come il nostro, sottolineando la specificità montana del VCO. E mi sarei aspettata un comportamento simile anche dagli altri comuni, almeno come sentire comune, quel buon senso di cui parlava un tale Shaftesbury nel 1600 ma che, evidentemente, ormai si è dissolto nelle nebbie dei tempi.
Infatti, il Cusio sembra giocare alle tre scimmiette: non vedo, non sento, non parlo, ma parteggio per l'Ossola. Senza un apparente motivo, se non un menefreghismo di fondo. Tanto c'è il COC, no? Affaracci degli altri. E il sindaco di Domodossola ha, prevedibilmente, tirato l'acqua (e in questi giorni ne è caduta davvero tanta) verso il suo mulino, sperando di macinare tutto il grano possibile ed immaginabile. E adesso, a poche ore dalla notizia che la decisione sulla sorte dei DEA slitterà a fine 2015 (forse “Too much ado for nothing”, ovvero “Troppo rumore per nulla” direbbe l'amico William Shakespeare?), il primo cittadino domese continua nella sua battaglia cieca, invece di riaprire il dialogo con proposte costruttive (come quelle del primo cittadino di Villadossola, che inizia a nominare un passaggio alla Lombardia che trovo più che condivisibile) oppure essere per lo meno falsamente felice per noi, poveri verbanesi, che per un annetto ancora tiriamo un sospiro di sollievo. Non capisco questo accanimento contro il Verbano e contro il detto “l'unione fa la forza”. Siamo nel 2014 e ancora si sta discutendo sul diritto imprescindibile: il diritto alla vita e ad un servizio assistenziale adeguato. Quest'ultimo non sarebbe mai e poi mai possibile garantirlo chiudendo uno dei due DEA, a prescindere dalla collocazione geografica. Decisione quindi che slitta di qualche mese, forse per calmare gli animi dei verbanesi, mobilitatesi in massa per difendere il proprio DEA, e forse per dare l'impressione che a Torino gli importi davvero del VCO e della salute dei propri cittadini. Anche se nel capoluogo regionale a malapena si sa che esiste il VCO, una provincia che è più lombarda che piemontese, una provincia che ha una risorsa, proprio il territorio, ma che viene costantemente dimenticata dalla Regione Torino-centrica, a parte ricordarsi della provincia azzurra quando c'è da prelevare soldi e servizi. Si, sono catastrofica e pessimista, ma è questa la sensazione che mi ha accompagnato in questi anni, in cui mi sono sempre sentita più vicina a Milano e a Varese, anche grazie ai trasporti che, seppur a singhiozzo, funzionano, piuttosto che a Novara e Torino.
Cosa resta di questi giorni concitati? Resta la certezza che almeno il Verbano è unito nel difendere non solo i propri diritti, ma quelli di tutta la provincia. E resta la pugnalata al petto del resto della provincia, che non riesce a guardare più in là del proprio naso. Forse resta quel Muro tra Verbano, Cusio e Ossola, in un territorio che voleva essere unito, un tempo forse, ma che adesso è quanto mai spaccato. Per me personalmente resta la certezza che cinque anni fa ho fatto la scelta giusta ad abbandonare medicina, guardando all'attuale sconforto generale e locale. E chissà che questa scelta non mi porti in un luogo, più o meno lontano, dove la sanità non viene MAI messa in discussione, dove i cittadini sono sicuri di poter avere i servizi per cui pagano, dove la politica non mangia in testa alla popolazione, dove, nonostante tutti i muri storici, linguistici e culturali, si può essere uniti nella lotta per la propria vita.
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