Sclerosi Laterale Amiotrofica: la distanza tra progetti e realtà
Riportiamo una storia che arriva da Facebook. A raccontarla è Ruggero Pavarotti, parla di sanità, di affetti, di crisi, di costi e di chi ne fa le spese.
👤 Redazione ⌚ 12 Agosto 2014 - 10:23 2 commentia-
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Sclerosi Laterale Amiotrofica … Progetti e realtà
Mi chiamo Pavarotti Ruggero, ho 58 anni e da pochissimo tempo sono in pensione, una fortuna penseranno molti, ma purtroppo una fortuna sudata, che è durata poco.
Il 14 Maggio 2014, per una distrazione ho un’incidente in motorino che, di per sé, non era nemmeno così grave se non fosse che nella caduta dal motorino mi provoco una grave frattura al ginocchio: tre ore di intervento, placche viti e una prognosi di tre mesi senza poter caricare e poi si vedrà. Tutto normale penserete, sono cose che possono succedere e che spesso hanno anche risvolti ben più drammatici di quelli che stavo vivendo. Già le difficoltà infatti non erano le mie ma bensì quelle che avrebbe dovuto affrontare mia moglie durante la mia assenza. Carla, mia moglie, dal gennaio del 2011 era stata colpita dalla Sclerosi Laterale Amiotrofica, da questa malattia incurabile, che in poco tempo l’aveva resa inferma al 100%, completamente dipendente sia di giorno che di notte e con gravi disturbi respiratori che la costringevano a rimanere tutto il giorno in ventilazione assistita non invasiva (NIV).
Presa coscienza di quanto accaduto sono entrato in una crisi personale dove non facevo altro che piangere e non mangiare, non riuscivo a trovare delle soluzioni, che mi permettessero di continuare a proteggere ed assistere la mia consorte come avevo fatto fino a quel giorno, se non rischiando il posto di lavoro di una delle nostra figlie (e oggi non è proprio il momento migliore); non sapevo di strutture adatte a questo genere di assistenza nelle nostre vicinanze. Ero a conoscenza della struttura di Monza, ma quando chiamammo per sapere se c’era qualche possibilità per una degenza di sollievo ci dissero che era una struttura regionale e che pertanto accoglieva solo pazienti residenti nella regione Lombardia.
Ed ecco che in mio soccorso arriva l’assistente ospedaliera dell’ospedale Castelli di Verbania, la Dott.ssa Maggini, che con brevi parole mi mette al corrente di una nuova “struttura/progetto” che si sta realizzando a pochi km di distanza, presso l’Eremo di Miazzina, un progetto che prevede la creazione di un reparto specialistico NAC (Alta Complessità Neurologica Cronica)che si rivolge prioritariamente ai soggetti con LIS (Locked-in Syndrome) o con Sclerosi Laterale Amiotrofica in fase terminale, o comunque ai soggetti con coscienza conservata assimilabili alla LIS per quadro motorio (quanto detto si può evincere dal sito internet della struttura sopra citata http://www.eremodimiazzina.com/nucleo-stato-vegetativo/alta-complessita-neurologica-cronica-n-a-c/ ). Non mi sembrava vero, informo la famiglia cosi che possano preparare tutto per il trasferimento di Carla e anche per il mio. Ci rechiamo presso questa struttura da dove avevamo avuto rassicurazioni di assistenza e collaborazione, specialmente con noi che ci prendevamo cura di Carla da circa 3 anni con buoni risultati e garantendole una dignitosa qualità di vita.
I primi giorni, per questi malati sono i più complessi, specie quando arrivano dal domicilio, dove tutto viene fatto in funzione dei loro bisogni e delle loro richieste. Io non potevo essere di grande aiuto perché il mio ginocchio, dolorante, non mi permetteva di stare vicino a mia moglie se non per brevi periodi, ma fra un “porta pazienza” e ora provvediamo, e la presenza quasi continua delle nostre figlie nei primi giorni abbiamo cercato di tranquillizzare Carla e di fare in modo che lei fosse rassicurata e si affidasse al personale per la sua assistenza.
Dopo circa una settimana iniziano le difficoltà. Il personale presente al nostro arrivo viene sostituito e ridotto, a causa dell’apertura di una nuova struttura di riabilitazione, il reparto dove si trovava mia moglie viene così a trovarsi con meno personale e iniziamo a sentire parlare di “mancanza di tempo per assistere Carla”.
Ci viene fatto presente che per assistere Carla nelle cure igieniche del mattino e darle colazione sono necessarie due persone per circa due ore e questo non è possibile per il carico lavorativo di reparto, quindi ci viene chiesto dalla coordinatrice di reparto di assumere una persona per garantire lo svolgimento di queste pratiche, che io e le mie figlie riteniamo siano cure di base che, in qualsiasi struttura, dovrebbero essere garantite. Di fronte alla nostra richiesta di mettere la paziente a letto a riposare dalle 14 alle 16 cosi da permetterle un cambio di posizione e di maschera per respirare la risposta che ci venne data era: “abbiamo poco tempo disponibile e quella è un’operazione che con il sollevatore richiede troppo tempo “. Delusi ma pur sempre convinti che si possa arrivare ad una collaborazione ottimale per non aumentare i disagi di mia moglie resistiamo e assumiamo questa persona (a cui va il nostro ringraziamento) ma andando avanti ci ritroviamo di fronte a situazioni che hanno del paradossale.
Carla era una persona molto abitudinaria (come potete vedere dal foglio allegato “abitudini di Carla” scritto dalle mie figlie per permettere a tutto il personale di conoscere le sue abitudini e rendere il lavoro più semplice), ma queste abitudini già dopo la seconda settimana di degenza vennero stravolte motivando il tutto con la frase “non abbiamo tempo”. Carla si svegliava ogni mattina, faceva colazione e poi veniva messa in comoda per scaricarsi regolarmente ogni giorno (in quanto aveva 56 anni, era lucida, vigile ed orientata e percepiva lo stimolo) raramente questo veniva fatto, e spesso mia moglie era obbligata a farsela addosso per poi essere messa a letto e pulita. La signora che noi pagavamo si occupava di lavarla a letto, darle colazione e pranzo e rifarle il letto; Le mie figlie si occupavano di prepararle e darle cena e parecchie volte la mettevano a letto, inoltre la doccia settimanale veniva fatta regolarmente da una delle mie figlie con l’aiuto della persona che pagavamo, per farle la doccia seguendo le abitudini di mia moglie le mie figlie ci mettevano circa 60-80 min. L’assistenza di base, a mia moglie, spesso non era garantita, anzi direi che era raramente garantita dal personale in turno.
Carla inizia a non sentirsi bene ed ad avere difficoltà a respirare senza una ragione apparente. Un giorno le mie figlie (entrambe infermiere) si accorgono che, su ordine medico, era stata abbassata la velocità d’infusione della morfina (premetto la morfina era stata introdotta dal neurologo, il Dott. Mora, e dal medico delle cure palliative, la Dott.ssa Mellano, proprio per le difficoltà respiratorie che mia moglie aveva), con motivazioni a noi non chiare e tali da richiedere l’intervento della dottoressa Mellano, che aveva stabilito tali dosaggi, e che grazie ai quali avevamo ottenuto un piccolo equilibrio di “benessere” con la salute di mia moglie.
L’alimentazione nel 90% dei casi veniva data dall’inserviente assunta e dalle nostre figlie che si occupavano anche di preparale il passato di verdura per cena della giusta consistenza, perché durante i primi giorni ci eravamo accorti che spesso il passato di verdura non era correttamente omogeneizzato e Carla aveva difficoltà a deglutirlo, mettendola a rischio di ab-ingesti, pertanto per evitare rischi avevamo preferito preparlo noi.
Nonostante tutti i nostri sforzi, Carla era sempre più affaticata. Le mie figlie, vista la situazione stavano facendo di tutto per organizzare il rientro al domicilio di Carla il prima possibile per evitare il suo aggravamento, ma non sono riuscite a farlo in tempo.
Il 6 Luglio 2014 al mio arrivo in reparto per preparare la colazione le infermiere mi avvisavano subito che Carla non stava bene, entro in camera, lei era seduta nel letto e le infermiere stavano cercando di liberare le vie aeree occluse, probabilmente da secrezioni o catarro formatosi nella notte. Pochi istanti, nemmeno il tempo di avvicinarmi al letto con la carrozzina su cui ero seduto, e ho visto voltarsi indietro gli occhi di Carla e l’aria che il respiratore insuflava uscire costantemente dalla bocca. All’arrivo della dottoressa di turno vengo informato che l’unica alternativa possibile era quella di praticare una tracheo d’urgenza, ma Carla non voleva assolutamente essere sottoposta a questo e mi son reso conto di rispondere quasi in forma automatica “lasci stare, tanto ormai è spirata” sono stati eseguiti i controlli del caso e c’è stata solo la conferma alle mie parole.
Questi sono i fatti successi, fatti che mi lasciano ancora molte domande in particolare molti PERCHE’????
Perché accreditiamo (e PAGHIAMO ) strutture che presentano progetti (OTTIMI) senza poi andare a controllare se effettivamente le cose corrispondono a ciò che viene fatto?
Perché ci si approfitta di situazioni di grave disagio fisico, proponendo assistenze e definendole anche di ECCELLENZA quando poi nella realtà i pazienti sono trattati peggio che dei pezzi di metallo su una catena di montaggio (1 minuto, 10 Minuti) il prossimo?
Perché si insiste su queste strutture (RSA) invece che offrire più possibilità alle famiglie che vogliono mantenere il loro congiunto a casa e assistendolo in tutto e per tutto (dove la famiglia ne ha la possibilità ovviamente)?
Perché non si effettuano controlli con ispezioni non programmate mesi prima ma da eseguirsi in forma randomizzata e senza preavvisi (per non dare tempo di insabbiare le cose che non dovrebbero esserci)?
Perché non controllare i costi e gli effettivi investimenti nella loro destinazione (in alcuni ospedali la carta igienica la si porta da casa ) ma si permettono sprechi su materiali più costosi o acquistati a prezzi maggiori pur di avvantaggiare il tale amico o la tale ditta e magari materiali più scadenti o difettosi?
Queste domande sono rivolte alle istituzioni che pagano questi servizi come se fossero eseguiti in modo ineccepibile, sono rivolte agli amministratori locali, provinciali e regionali, che non effettuano verifiche e controlli sugli effettivi servizi elargiti alle persone (e qui siamo in sanità non strade o fiumi da pulire) sono domande rivolte a chi continua a insistere su strutture del genere, RSA gestite da cooperative, che poi a loro volta sfruttano ogni occasione possibile per abbassare il livello dei servizi al malato; e… non per ultimo queste domande verranno fatte anche allo sportello della difesa del malato… in modo che vi sia la conoscenza anche da parte loro e la possibilità di effettuare qualche controllo su come realmente le persone vengono assistite in questi centri a cui poi si dona il titolo di “ECCELLENZA!!!”
Carla, purtroppo non è più con noi, ma questa lettera è solo per fare in modo che nessun altro malato come lei, indifeso e non in grado di dire la sua, debba affrontare ciò che ha dovuto affrontare lei nel suo ultimo mese e mezzo di vita.
Spero davvero che questa lettera sia presa in considerazione dalle Vostre istituzioni e soprattutto spero di poter vedere la risposta, se non a tutti, almeno alla maggior parte dei miei perché, questo sarebbe l’ultimo regalo che io e le mie figlie possiamo fare alla nostra Carla e a tutti i malati che come lei affrontano queste difficoltà ogni giorno.
Vi ringrazio già ora per quanto riuscirete a fare
Cordialmente
Pavarotti Ruggero e figlie Leggi QUI il post completo