Zacchera l'Isola brucia: quali responsabilità?
Riportiamo dal sito di Marco Zacchera l'ultimo numero della Newsletter "Il Punto", argomenti trattati: L'isola brucia, quali responsabilità, pasticcio province, bilancio afghanistan Obama e la NATO, tagli? allora anche in RAI, finanziamenti europei e Front National, Cristina e il programma comune.
👤 Redazione ⌚ 31 Marzo 2014 - 09:01 1 commentoa-
+
L’ISOLA BRUCIA, QUALI RESPONSABILITA’?
Lunedì notte un pauroso incendio ha devastato l’Isola dei Pescatori, sul lago Maggiore. Una casa è andata completamente distrutta, ci sono stati sfollati, danni ingenti, per la seconda volta in poco tempo sull’Isola si è veramente rischiata una tragedia. In nome della “spending review” solo pochi mesi fa il Ministro degli Interni aveva intanto avuto la bella pensata di togliere al comando provinciale VVFF di Verbania l’unica motolancia operante sul Lago Maggiore che serviva tre province ed era l’unico mezzo di pronto intervento non solo per le Isole Borromee (pensate se un giorno mai prendesse fuoco il Palazzo dell’Isola Bella…) ma anche l’unico serio mezzo di intervento lacuale in caso di incendio per centinaia di ville ed edifici direttamente sul lago e non raggiungibili facilmente dalla terraferma, oltre al rischio potenziale dato dal trasporto ogni anno di milioni di turisti che viaggiano a bordo dei battelli in servizio pubblico e privato dove, purtroppo, non sono rari i casi di incendio.
L’incendio sull’Isola, con l’ idrante di cui era dotato il natante trasferito, sarebbe stato spento in pochi minuti mentre in questo caso i vigili del Fuoco sono arrivati con un gommone senza alcuna attrezzatura...e trasportati in piena notte dal motoscafo di un albergo! . Quando ero parlamentare – protestando non poco – ero riuscito a fare arrivare la motolancia (oltre ad altro materiale e ad una autoscala che potesse intervenire ai piani alti degli edifici, prima se c’era una emergenza in un condominio di cinque piani la scala doveva arrivare da… Novara!) che nel disinteresse locale è stata appunto recentemente trasferita a Ravenna nonostante che anche su IL PUNTO avessi sottolineato il rischio incombente.
La domanda è: ma chi si assume la responsabilità di questi assurdi “ripiegamenti”? Perché in Italia anziché tagliare i tanti uffici che pullulano anche all’interno dei VVFF si tagliano invece le attrezzature di prevenzione incendio? Il dirigente che ha firmato quel trasferimento non dovrebbe essere in qualche modo responsabilizzato? Circa poi il mio successore on.le Enrico Borghi (PD), quello che scriveva in campagna elettorale “Finalmente avremo un deputato che si occupa del territorio”, di grazia, dov’è?
PASTICCIO PROVINCIE
Sono sempre stato contrario all’abolizione delle province il cui costo è circa l’1% della spesa pubblica (le regioni costano 40 volte tanto ma chissà perché nonostante gli scandali seriamente non le vuole riformare o tagliare nessuno) soprattutto per la grande confusione che gira intorno a questa vicenda, diventata tutto uno spot dalla poca sostanza. Ben vengano le “aree metropolitane” perché tutti capiscono che Sesto San Giovanni, Monza e Milano sono un’unica conurbazione urbana (ma allora ci dovrebbe essere anche un solo
comune) ma mi dite cosa c’entra Torino “area metropolitana” in cui è inserita anche il Sestriere o il Parco del Gran Paradiso? Il problema – e lo ripeto da anni – andava affrontato al contrario: PRIMA stabilire cosa devono fare le province e solo DOPO stabilire la loro area ottimale sulla base delle loro competenze. La scelta più saggia era di raggrupparle ma tenerle in vita per le aree periferiche dove non ci sono comuni grandi e le città sono lontane perché oggi le province servono per la manutenzione delle strade, lo sgombero della neve, le scuole secondarie, l’ambiente, caccia, pesca, la formazione professionale ecc. ovvero materie che non è logico vengano gestite da lontano ma sul territorio. Macchè, demagogia assoluta e risparmi pari a zero, anzi nuovi costi se i dipendenti (auguri!) passeranno con inquadramento regionale.
Nessuno comunque che abbia pensato anche ai servizi, quelli che in qualche modo dovrebbero essere garantiti ai cittadini. Circa poi il pasticcio se il VCO sia o sarà a meno una “provincia montana” il tutto è delegato ad una diatriba politica con nel concreto – per ora - il nulla assoluto, come purtroppo volevasi dimostrare.
BILANCIO IN AFGHANISTAN, OBAMA E LA BEFFA NATO Dopo una missione durata oltre 10 anni, 43 caduti sul campo (53 quelli comunque collegati alla missione), molte centinaia di milioni di euro spesi in campo militare e civile l’Italia si appresta a lasciare l’Afghanistan. Il risultato militare è nullo: formalmente si passano le consegne al nuovo esercito afgano, ma c’è da temere che in poco tempo esso sarà incapace di tutelare anche il poco territorio dove esercita una specie di superficiale sovranità. Le lungimiranti e positive realizzazioni civili italiane (tra le quali 83 scuole, 47 strutture sanitarie, 2 ospedali) saranno devolute alla Cooperazione internazionale che in qualche modo le porterà avanti, sperando per il meglio. Il quesito di fondo è: “Ma ne valeva la pena?” A parte il peso dei caduti (tragedie, ma pur relativamente pochi in rapporto all’ecatombe americana ed inglese) c’è stata una missione ultradecennale che non ha risolto nulla, non ha fatto crescere l’Afghanistan in modo moderno ma anzi spesso ricondotto indietro un paese dove la democrazia, il ruolo delle donne, il diritto e la legge sono concetti che restano radicalmente diversi dai nostri.
Finimmo nel calderone afghano dopo l’attacco dell’11 settembre a New York perché l’America doveva dare “una lezione al terrorismo”: non pare che i successi abbiano minimamente compensato i costi e se è vero che i nostri militari si sono comportati bene, con impegno ed onore e che sono stati accettati molto meglio dalle popolazioni locali rispetto ad altri contingenti internazionali è il fronte “politico” a piangere perché l’Italia non sembra nemmeno meritare un “grazie” da parte degli alleati. Stiamo in Afghanistan (il rientro è previsto per fine anno), abbiamo migliaia di uomini e donne impiegati in Libano e su tanti altri fronti “caldi” dello scacchiere mondiale, spendiamo ogni anno cifre imponenti per questa presenza, ma l’Italia conta meno di zero.
A livello europeo nessuno tiene conto di questi costi che pur penalizzano il bilancio dello stato, sul fronte della pirateria (dove pure abbiamo tuttora diverse navi a presidio dell’Oceano Indiano) la vicenda dei “Marò” la dice tutta sulla solidarietà internazionale verso l’Italia. Almeno sul piano di un riconoscimento politico si ipotizzava che l’ex ministro degli esteri Franco Frattini potesse diventare il nuovo segretario generale della NATO invece proprio ieri è stato nominato l’ex premier norvegese. Ma allora perché l’
Italia deve continuare a impegnarsi e a pagare in termini economici e di vite umane?
Poi arriva Obama e tutti a genuflettersi, con il Presidente USA che - visitando il Colosseo - è stato capace solo di dire: “Però, è più grande di uno stadio di baseball!” In quella frase c’è tutta l’ignoranza di oltre oceano, ma europei ed italiani ormai certe sensazioni non le capiscono (e non le
“sentono”) più: pensiamoci, anche (o soprattutto) per questo siamo in crisi!
TAGLI? ALLORA ANCHE IN RAI…
Giustissimo il tentativo del governo di mettere un tetto agli stipendi dei supermanager di stato e a quei burocrati dalle non sempre certe capacità che hanno fatto il loro nido nelle società para-pubbliche, di solito autoreferenziali di sé stessi. Se però “tetto” deve esserci allora sia per tutti. Perché invece – per esempio - un artista o un presentatore TV della RAI (di fatto una azienda di stato) può guadagnare fino a 20 volte il Presidente della Repubblica?
Se Mediaset (società privata e quotata in borsa) riesce ad essere in utile con ottimi programmi ed è per di più un servizio gratis per l’utente, come mai invece la Rai perde soldi pur imponendo il pagamento del canone? Se anche in RAI si tagliassero i super-stipendi forse molti protestando se ne verrebbero via ma - dopo poco tempo - ci sarebbe un normale riequilibrio di mercato e i “big” (o presunti tali) tornerebbero a cuccia con la coda bassa. Certo che se quegli stessi presentatori o dirigenti sono invece mantenuti per fare la ruota a certi politici (guarda caso, quasi sempre di sinistra) ecco spiegato perché non si vuole cambiare mai niente.
FINANZIAMENTI EUROPEI - IL SUCCESSO DEL FRONT NATIONAL Venerdì 4 aprile alle ore 21 al Forum di Omega l’on.le CARLO FIDANZA (deputato europeo fi Fratelli d’Italia - AN) terrà una conferenza sulle normative legate ai prossimi finanziamenti europei come mezzo di sviluppo per il territorio.
Presenta Luigi Songa e parteciperà anche il tecnico Pier Luigi Genduso esperto di bandi e finanziamenti europei. Dal suo blog traggo queste note, largamente condivisibili, sul successo del Front National in Francia domenica scorsa.
La lezione francese: serve un Partito della Nazione di Carlo Fidanza
Puntuali come orologi svizzeri partono i cronisti d'assalto dei giornaloni.
Destinazione: Henìn-Beaumont, il paesone di 26mila abitanti che ha eletto al primo turno Steeve Briois, un sindaco del Front National di Marine Le Pen.
Successe più o meno lo stesso quando a metà anni '90, ancora saldamente in mano al vecchio Jean-Marie e lontano dal rinnovamento impresso da Marine, il Front National sbancò nel sud conquistando i sindaci di Tolone, Marignane, Vitrolle e Orange (quest'ultimo riconquistato domenica). E via con le analisi sociologiche e le domande capziose al bar del paese: cosa pensate degli omosessuali? Cosa pensate del nazismo? Vi fanno schifo gli immigrati? Basta una risposta fuori posto per far scattare la condanna: se hai votato il sindaco lepenista sei per forza un estremista, populista, anti-europeista e un po' razzista. Nella migliore delle ipotesi è l'antipolitica, bellezza.
Quando la realtà e il voto democratico non si conformano all'ideologia dei salotti, è la realtà ad essere sbagliata: è il solito dogma giacobino, quello che ha causato milioni di morti negli ultimi due secoli. E questa realtà sta facendo vacillare i totem del politicamente corretto. Il governo Hollande si è trasformato dal sogno di cambiare l'Europa a un incubo per i francesi; la battaglia contro l'Euro e quella che MLP chiama l'EURSS, intendendo con essa il super-stato burocratico europeo, ha uno spazio tutt'altro che marginale nell'opinione pubblica; i candidati Bleu Marine non sono più visti come impresentabili; il FN si conferma una forza interclassista, capace di dar voce al ceto medio impoverito come agli operai che subiscono i guasti delle delocalizzazioni; il richiamo al "fronte repubblicano" (l'unità di socialisti e
gollisti) contro il pericolo lepenista non fa più breccia nell'Ump post-Sarkozy che non solo accetta i voti del FN al secondo turno dove parte in vantaggio ma si rifiuta di offrire i propri ai socialisti; Marine Le Pen non sfonda soltanto nelle roccaforti del sud afflitte da problemi di sicurezza e immigrazione selvaggia, ma si afferma anche nel nord della desertificazione industriale; Marine Le Pen non sfonda invece dove la destra repubblicana fa la destra, vicina al popolo e lontana dalle tecnocrazie, come a Nizza con Estrosi e a Bordeaux con Juppè.
La lezione francese, pur con tutte le inevitabili differenze, ci sprona ad andare avanti nel percorso intrapreso: serve un Partito della Nazione. Porre fine alla dittatura delle tecnocrazie e smontare la gabbia dell'Euro per restituire ai popoli dignità e sovranità è anche la nostra battaglia. Farlo partendo da destra ma in nome della Nazione, e non di una parte di essa, è quello che ci distingue dagli altri
ELEZIONI A VERBANIA: MIRELLA CRISTINA
Mi è piaciuta la sua idea di proporre a tutti i candidati di stendere un programma comune per le parti di programma condiviso da tutti: un “minimo comun denominatore” sul quale comunque ritrovarsi. Il concetto di cercare di fare una sintesi condivisa anziché una lite perpetua trovo sia saggio e positivo, chiunque sarà eletto sindaco. Leggi QUI il post completo