PsicoNews: Alzheimer e linguaggio verbale
Riuscire a comunicare, a dire ciò che si vuole e farlo comprendere agli altri, per chi non ha mai avuto difficoltà sembra scontato ma per chi dimentica ? Come si modifica il linguaggio verbale durante l’arco della malattia?
👤 Dott.ssa Mara Rongo ⌚ 14 Giugno 2017 - 08:00 Commentaa-
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“ Paro poppo poppo poro paro poro paro poro” questa è stata una frase che per molti anni ho sentito rivolgermi, a volte con tono interrogativo, a volte con tono esclamativo,a volte con un ritmo molto veloce a volte lento e con un tono basso, questa era l’unica frase che un Signore affetto da malattia di Alzheimer riusciva a dire per comunicare verbalmente con noi, che lo assistevamo.
Nelle persone affette da malattia di Alzheimer il linguaggio conserva per molto tempo una propria struttura organizzativa, nei primi stadi mantiene la sequenza corretta (soggetto, verbo, complemento), è con il progredire della malattia che subisce delle modificazioni, perdendo la sua forma digitale e presentando crescenti difficoltà.
La malattia impoverisce sempre più il linguaggio, causando errori nell’articolazione e pronuncia di parole (lo dito), anomie (il coso), neologismi (baccioci= bastone); il paziente sa che parola sta cercando, a volte la rappresenta anche nella propria mente, ma non riesce a ripescare la sua denominazione esatta nella memoria, sa cosa vuole dire ma non riesce a dirlo. Da questo l’espressione verbale diventa sempre più confusa, incomprensibile, una insalata di parole insomma.
Il pensiero di pari passo perde la funzione di costruire, sviluppare e conservare un discorso, soprattutto interiore, una trama narrativa di sé; è come se si instaurasse una modalità di pensiero preverbale, a cui si collegano delle rappresentazioni mentali sempre più sfocate.
I disturbi e il grado di compromissione del linguaggio verbale sono molto variabili tra un paziente e un altro, così come la loro evoluzione, a causa di numerosi fattori quali: personalità, esperienze, cultura, ambiente relazionale. Anche la consapevolezza del disturbo di memoria o di linguaggio varia per ogni paziente; le ipotesi sono di natura diversa potrebbe trattarsi di agnosia oppure di diniego, soprattutto nelle fasi non molto avanzate, con la possibilità di elaborare confabulazioni che consentano di mantenere l’illusoria competenza ad una efficiente interazione verbale.
Ciò che va ben chiarito è che, comunque, ogni persona malata di Alzheimer è in grado di comunicare. Magari, soprattutto nelle fasi più avanzate, non sempre si esprime in modo intelligibile ma riferisce le sue esigenze e le sue intenzioni, a volte in chiave originale. È sempre opportuno cercare un contatto, un’interazione con coloro che sono affetti da demenza, e accettare che le loro risposte siano modalità e contenuti che si esprimono attraverso la malattia. Gli argomenti di conversazione con le persone malate di demenza non sono tutti praticabili, poiché le capacità di astrazione, concettualizzazione, previsione, elaborazione appaiono disorganizzate e impoverite dalla malattia.
Va sempre tenuto presente, che in ogni stadio di malattia gli aspetti del linguaggio non verbale sono conservati fino al termine della vita.
Buona settimana
Mara Rongo
Fonte: “Comunicare con l’anziano”, a cura di: C. Cristni, C. Cipolli, A. Porro, M. Cesa-Bianchi, ed. FrancoAngeli, 2012
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